Diario dell’apocalisse di Eleanor Coppola. Dietro le quinte del capolavoro di Francis Ford Coppola.
Non ho mai guardato un extra di un film. Né ho mai guardato il trailer di un film, perché è un oggetto falso. C’è un libro però, Diario dell’apocalisse di Eleanor Coppola, che per me è un extra di un film. Perché è un libro che contiene una verità extra. E perché è un libro su un film che è extra, o XL, extra large: Apocalypse Now.
Diario dell’apocalisse è il libro che ha scritto la moglie di Francis Ford Coppola nei tre anni, ripeto, tre anni, di produzione del film Apocalypse Now. È uno dei capolavori della storia del cinema. Ti può piacere. Ti può non piacere. È lì con Blow Up, C’era una volta in America, 2001 odissea nello spazio…
Diario dell’apocalisse è un extra su un cinema che non c’è più e che non è più possibile. L’apoteosi del cinema. L’apoteosi del c’era una volta il cinema. Forse è storia. Forse è fantascienza. C’è la cronaca delle telefonate con Al Pacino, Marlon Brando, Jack Nicholson, per i ruoli dei protagonisti del film. C’è la cronaca di tre anni nelle Filippine per girare il film che Francis Ford Coppola ha scritto ispirandosi a Cuore di tenebra di Joseph Conrad, con la storia che è stata spostata dall’Africa dell’800 al Vietnam della guerra del Vietnam.
È vita che diventa cinema. È cinema che diventa vita. Villaggi costruiti dagli scenografi e bombardati dall’aviazione delle Filippine, a volte un successo, a volte un insuccesso… Acquazzoni che hanno distrutto i set e rimandato di settimane e settimane le riprese. Milioni di dollari di budget sforati. Francis Ford Coppola che lancia i suoi Oscar dalla finestra e i bambini che corrono a raccoglierne i pezzi. Vittorio Storaro che fa la fotografia sempre in camicia, anche nella giungla, un uomo rinascimentale. La troupe italiana. Harvey Keitel “tagliato” dal film. L’arrivo di Martin Sheen a sostituirlo. L’infarto di Martin Sheen. La scena di apertura del film con Marten Sheen ubriaco, realmente, e che si ferisce, realmente. La costruzione del tempio di Kurtz e, forse, di una filosofia. Si dice che sia stata reclutata una tribù di indigeni perché vivessero sul set e prendessero parte al film. Non un film vero. Un film più vero del vero. Si dice che ci fossero dei cadaveri sul set. O così suggerisce il trovarobe intervistato dal diario di Eleanor: “la sceneggiatura dice un rogo di corpi umani, non dice un rogo di manichini”.
Ciò che più è importante per me, però, è l’essere extra del diario, cioè il punto di vista di Eleanor Coppola, il suo punto di vista di donna, sul set sia come moglie sia come madre. Ma sul set anche come regista di un suo documentario. “Ce l’ho con la cinepresa perché non vede come vedono i miei occhi”. Il libro è anche un diario sulla lavorazione del suo documentario e sul senso del suo documentare. “Esiste una specie di sfasatura tra quello che io vedo e quello che la macchina registra”.
Il cinema è inquadrare quella sfasatura.
Il cinema è costruire un immaginario di quella sfasatura.
Diario dell’apocalisse ci aiuta a capire che cosa è quella sfasatura. E che cosa è un extra, una verità extra. L’apoteosi del cinema. L’apoteosi del c’era una volta il cinema, cinema extra large, cinema che è vita, vita che è cinema.
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