Dalla penna di un grande lettore, Valerio Calzolaio, il Covo della Ladra pubblica la recensione acuta e meritoria dell’ultimo romanzo di Francesco Recami, La clinica Riposo & Pace. Commedia near n.2, edito Sellerio

Il borghetto. Ieri. C’era una volta l’elegante seicentesca Villa Riposo & Pace sulle amene colline preappenniniche, in mezzo a cipressi e olivi, dove si portavano parenti a morire in fretta. Fungeva da costosissima casa di riposo per anziani non autosufficienti, consistente di tre bei corpi separati per tutte le esigenze. Onerosa inopinabile caparra; costi altissimi pur con permanenze tendenzialmente brevi; sperimentata garanzia di efficienza e riservatezza sotto la guida del Professore; ristorante stellato a chilometro zero e resort di lusso con piscina per parenti e conoscenti dei ricoverati. Poi venne il momento di un grave guaio: vi fu condotto dalla nipote cinquantenne Mikaela accompagnata dall’elegante marito Roberto l’85enne Alfio Pallini, grande e grosso, un metro e novanta per 120 chili, braccia e dita da fabbro, in permanente contatto con l’amico e alter ego Ulrich. Soffriva di sindrome degenerativa su base circolatoria, demenza senile in stato avanzato (delirio, mania di persecuzione, marcata aggressività), era già in terapia con farmaci antipsicotici atipici come la quetiapina. Venne messo nella stanza numero 9 al secondo piano, quella dei “moribundi in pocha semana” (secondo l’inserviente di colore), due letti, il vicino era appena morto, subito sostituito da un altro, Valerio. Alfio faceva sempre attenzione a fingere di dormire, ascoltando tutto; a farsi imboccare le pasticche, gettandole invece di nascosto appena rimasto solo (o conservandole alla bisogna); a gestire con furbizia quiz cognitivi, per therapy, musicoterapia e pure suor Andrea. Forse cercheranno di ucciderlo in vari (scientifici) modi. E il rompicoglioni dovrà adottare vari (fantasiosi) piani d’azione e di fuga.

Il meticoloso divertente scrittore toscano Francesco Recami (Firenze, 1956), noto soprattutto per romanzi e racconti dedicati ai condomini di una casa di ringhiera a Milano, continua la nuova serie toscana (per ora) di favole (incubi) noir, in terza quasi fissa sul resistente maschio. Pare proprio di esserci già stati in un posto così, nella clinica del titolo, di aver ascoltato anche noi quelle conversazioni fra geriatri e medici, fra colleghe infermiere o colleghi guardiani, fra chi vi lavora e i parenti di chi ne usufruisce. Il dolore, la fatica, il residuo pensiero nelle malattie dei vecchi; il mercato applicato alla salute e ai farmaci; la cinica (inevitabile?) commedia nell’evoluzione delle relazioni affettive; i confini della legalità nel trattamento dei corpi e della medicina. La formula è ancora di ironica drammaturgia: la stanza fatidica è al centro praticamente di tutte le 26 scene, distinte in quattro atti: esposizione, complicazione, peripezie e climax, catastrofe. I dialoghi sono tanti, gergali, tipici di ospedali italiani, non solo quel gergo ma anche i cento cocktail di medicine, più o meno “utili” a seconda degli obiettivi. Non solo umani: i gatti sono tantissimi, Aristide soffre proprio di diabete, costano enormemente i croccantini senza carboidrati e l’insulina non la passano per gli animali. Niente alcol in corsia. Uno dei vicini di letto canta di continuo “Un ragazzo di strada” dei Corvi, un tic: “Io sono quel che sono… la gente ride di me… Vivo ai margini della città… una ragazza come te… Sono un poco di buono… lasciami in pace perché…”. Ottima ossessiva terapia musicale.

Valerio Calzolaio