Oggi scendiamo nell’anima più profonda, nelle viscere più nascoste, nel ventre più oscuro. Oggi andiamo alla ricerca delle Donne che corrono coi Lupi con Clarissa Pinkola Estés.

Ci sono sogni che ricorrono spesso nelle nostri notti. Spesso sono solo figure, altre volte intere situazioni, altre ancora, invece, dei volti e dei personaggi che periodicamente vengono a trovarci. Ora, questa recensione, che ha più il gusto di un consiglio di lettura, nasce proprio da un sogno. O meglio, da tre figure che spesso vengono a trovarmi in sogno: tre lupi, bianchi e grigi, proprio come quelli delle favole. E così capita che una cara amica, ladra di libri e di letture come me, un giorno mi scriva e dica che sta leggendo un libro e che, probabilmente, mi potrebbe interessare. Questo libro si intitola Donne che corrono coi lupi, ed è stato scritto da Clarissa Pinkola Estés nel lontano 1992 e, parte la figura del lupo, è un libro che ogni donna, e uomo, dovrebbe leggere almeno una volta nella vita.

Clarissa è una analista junghiana, ma è anche una Cantadora, una donna che racconta storie che fanno guarire le ferite dell’animo delle persone. Clarissa affonda le proprie radici in un sapere antico quanto sconosciuto, che legge il reale attraverso simboli e figure archetipiche. Clarissa, però, è soprattutto una studiosa e, nei suoi anni di lavoro, durante i quali è anche direttrice del C.G. Jung Centre di Denver, dà inizio ad una ricerca, quasi paleontologica, delle radici della psiche umana. Ripercorrendo le figure mitologiche più o meno conosciute, i racconti degli antichi griot e dei guaritori presenti nelle maggior parte delle culture antiche del mondo, l’autrice traccia un sentiero di conoscenza che apre le porte ad un nuovo modo di leggere la psiche femminile. Grazie alle solide basi junghiane, traccia il profilo di quella che chiama Donna Selvaggia, ovvero una forza psichica potente, istintuale e creatrice, lupa ferina e al contempo materna, ma soffocata da paure, insicurezze e stereotipi. A metà tra psicologia, poesia, narrativa e spiritualità, Clarissa traccia anche un percorso che può aiutarci a recuperare le nostre origini, a liberarci dal condizionamento sociale, a liberare la nostra vera natura.

Le questioni dell’anima femminile non possono essere trattate modellando la donna in una forma definita più accettabile per una cultura inconsapevole, né l’anima può essere piegata in una forma intellettualmente più accettabile per coloro che pretendono di essere gli unici portatori della consapevolezza.

Quello della Pinkola Estés non è un romanzo, né una raccolta di racconti, ma un vero e proprio saggio in cui, insieme all’autrice, ripercorriamo miti e figure archetipiche più o meno conosciute. Dalle Donne Lupo della tradizione texana, alle Donne Scheletro Inuit, sino alle favole di Andersen e dei fratelli Grimm, la psicanalista usa queste storie come un archeologo userebbe i lacerti trovati durante uno scavo, e cerca di ricostruire le basi e l’origine dell’animo e del sentire femminile. Secondo la Estés, infatti, gran parte dei malesseri psichici che la donna vive e sopporta ogni giorno, le insicurezze, l’accettazione passiva di violenze e soprusi, i limiti che essa stessa si pone, derivano proprio dalla perdita di una connessione chiara e consapevole con le proprie radici istintuali. Lei chiama queste radici con il nome di Donna Selvaggia, ma siamo ben lontani dal definire il termine “selvaggio” come una connotazione negativa, senza freni, incontrollata. Il selvaggio di cui si parla è sinonimo di “originale”, di naturale, di integrità e salute; è quella vocina che, dal profondo della nostra anima, sa indicarci cosa è giusto e cosa non lo è, cosa deve “vivere” e cosa deve “morire”; è un qualcosa che ha a che fare direttamente con la capacità di creare e di dare vita che è nascosta nel ventre di ognuna di noi.

Lei è idee, sentimenti, impulsi e memoria. La si è perduta e pressoché dimenticata per tantissimo tempo. È la fonte, la luce, la notte, l’oscurità e l’alba. È l’odore del buon fango e la zampa posteriore della volpe. A lei appartengono gli uccelli che ci rivelano segreti. È la voce che dice: ” Da questa parte, di qua”.

In questa prospettiva, la Estès cerca di tracciare un percorso che può aiutare ciascuna di noi a ritrovare la Donna Selvaggia che dorme nel profondo del nostro ventre, a risvegliarla, per vivere più consapevolmente, libere da quelli che sono i condizionamenti di una società maschiocentrica da secoli. Ma non fraintendetemi. La Ladra non è una femminista dell’ultima ora e non dovete leggere queste parole nell’ottica di una lotta sociale di autonomia e attestazione della superiorità della donna. La Estés non parteggia per una parità “scriteriata” dei sessi, in cui le donne fanno le stesse cose degli uomini perché tra i due non c’è differenza. La Estés parla – indirettamente – di una emancipazione della differenza, del diritto alla libertà nella diversità, di ruoli, di modi di sentire, di pensiero. Prendiamo, invece, questa ricerca per quello che è, ovvero la ricerca naturale di sé stessi, del naturale scorrere delle cose e della vita, di un ritorno alle origini che può solo farci stare bene.

Ma perchè una Ladra dovrebbe parlarvi di psiche, di Jung e di miti apotropaici? Perché, motivi personali a parte, il punto di partenza di questo libro è un elemento che per noi lettori (e scrittori) è spesso fondamentale: il raccontare storie.

Le storie sono disseminate di istruzioni che ci guidano nelle complessità della vita. Ci mettono in grado di comprendere il bisogno dell’archetipo e i modi per far risalire l’archetipo sommerso.

Ed ecco svelato il mistero: oggi leggiamo non un romanzo, non la storia particolare di un individuo o di un avvenimento, ma la fonte stessa delle storie, l’archetipo iniziale di ogni storia che oggi noi leggiamo, viviamo, conosciamo. Così, quando leggiamo il libro della Estés non facciamo solo un salto nel profondo del nostro ventre, ma un viaggio tra le storie del mondo, quelle che ne caratterizzano la nascita e che parlano dell’origine dell’uomo. Con l’autrice ne leggiamo e interpretiamo i segni più reconditi e ne impariamo una lezione fondamentale, che ogni scrittore (e lettore) deve ricordare: “le storie sono medicine“.


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