Oggi voglio leggere insieme a voi un libro che lascia il segno. Sto parlando de “Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay” di Michel Chabon. Ovvero dell’esegesi dell’eroe.

Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay
Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay

Una Ladra come me non può che ammirare un libro come quello di cui voglio parlarvi oggi. Per questo mi sento di premettere che questo post, più che una recensione, ha il gusto di un invito alla lettura.

Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay di Michel Chabon non è solo un premio Pulitzer per la narrativa, né una nomination al premio National Book Critics Circle o al PEN/Faulkner. Quello di Chabon è anche, e soprattutto, un vero capolavoro della letteratura contemporanea, uno di quei libri che hanno il potere di condensare realtà storica e finzione, di farti vivere in prima persona i sentimenti e i dolori che animano i personaggi e di costruire mondi paralleli talmente plausibili, da fare fatica a distinguere tra ciò che è reale e ciò che non lo è.  E come in tutti i grandi libri, Chabon non dimentica nulla: c’è l’amore, la morte, la felicità e la disperazione, la speranza e il disincanto. Il tutto condito dalla storia, romanzata, della grande epopea che ha visto la nascita dei fumetti e dei suoi supereroi e della Seconda Guerra Mondiale.

Josef (Joe) Kavalier è un giovane artista ebreo in fuga dalla Praga nazista. Dopo aver superato il confine, portando in salvo con sé anche il Golem, approda a New York, la città in cui “gli emigrato diventano americani e gli orfani supereroi”. A Brooklyn incontra suo cugino, Samuel Klayman (Sammy Clay): i due diventano inseparabili e danno vita a un nuovo eroe a fumetti, l’Escapista, maestro della fuga in lotta contro i nazisti del terribile Attila Haxoff. Il successo per Kavalier e Clay sarà grande.

Ma cosa c’è in questo romanzo che lo rende tanto speciale?

C’è la Guerra. La Seconda Guerra Mondiale, con i suoi eccidi, l’accanimento contro un popolo, le lunghe e interminabili fughe sperando che “questa volta non tocchi a me“, le perdite dolorose, le assurdità e le bugie di qualcosa di troppo grosso per poter essere davvero celato. Da questo punto di vita, l’avventura scritta da Chabon è la storia di una lunga fuga che, dalle vite private dei suoi personaggi, si estende sino a quelli di fantasia del fumetto che decreterà il successo di Joe e Clay, appunto “L’Escapista”. E l’ombra della guerra e dei suoi orrori perseguiterà i protagonisti per tutta la vita, nonostante il successo, le speranze e la bellezza. Così, le tinte con cui Chabon dipinge la sua New York e le vite dei suoi personaggi sembrano quelle con qui Frank Miller firma le sue regie: fosche, opache, offuscate dal dolore e dallo smarrimento che un vita in fuga inevitabilmente porta. Ma anche euforiche, vivide, alla “sbam” e “boooam”, di quando la fantasia, la creatività, il successo si inseriscono a gamba tesa nella narrazione.

“La mia famiglia ha speso tutto il denaro che aveva. Tutti quelli che dovevano essere corrotti sono stati corrotti. I nostri conti in banca sono stati prosciugati. La polizza di assicurazione di mio padre è stata venduta. Anche i gioielli di mia madre, la sua argenteria. I quadri. Quasi tutti i mobili più belli (…) Tutto per assicurarsi che io, il fortunato, potessi sedermi in questo treno, lo vede? Nella carrozza fumatori. ” Soffiò uno sbuffo di fumo immaginario. “Sto sfrecciando attraverso la Germani per raggiungere i buoni, vecchi, Stati Uniti.”

C’è la grande epopea del fumetto. Romanzata, ma c’è ed è bella, viva e affrescata con pennellate veloci e vivaci, proprio come una tavola illustrata. Nella vita dei due protagonisti leggiamo molte tracce di quelle che sono state le vite degli autori veri, in carne ed ossa, che hanno reso il fumetto quello che oggi tutti conosciamo, come Stan Lee o Jack Kirby. Dalla nascita dei super eroi, alla creazione di una vera e propria cultura pop (e pulp), in grado di affascinare e intrappolare i lettori tra le pagine di questi “giornalini”. Chabon, in Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay, ha la capacità di rendere alla perfezione il clima creativo, innovativo e battagliero che si doveva respirare in quegli anni, tra studi, case editrici, diritti di pubblicazione, disegnatori ed autori: un clima fervente e super dinamico che ha permesso al fumetto di diventare quello che tutti oggi conosciamo, tra Marvel, DC Comics e via discorrendo.

“Vieni Joe” disse Sammy. “Hai sentito, prima? Tutti gli editori della città vogliono questo genere di disegni. Possiamo stare tranquilli!”

Ma anche se non siete amanti del genere fumetto & co., nel romanzo di Chabon c’è anche qualcosa d’altro.

C’è la storia di un secolo. O almeno del suo inizio. Tra esiliati politici, rifugiati di guerra e nuovi capitali in crescita, l’America del prima-durante-dopo guerra è una fucina di creatività, di personalità fulgide, di novità. Così, tra le pagina del Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay, incontriamo personaggi del calibro di  Salvador Dalí, Orson Welles e Fredric Wertham, presi nella loro quotidianità o nelle attività che tanto li hanno caratterizzati e fatti passare alla storia. Il romanzo di Chabon diventa anche uno spaccato reale e veritiero di un secolo che ha cambiato i destini dell’intera umanità.

C’è la vita vissuta. L’amore, confessato e taciuto, nascosto e clandestino. La morte inaspettata e non cercata, naturale o violenta. Ci sono delusioni e vittorie, battaglie vinte e guerre perse. I personaggi di Chabon sono costruiti a 360°, completi in ogni momento della propria vita, messi a nudo, mentre il lettore non ha che l’imbarazzo della scelta. Viviamo tutto, non ci viene nascosto nulla, non viene taciuto nulla. Questo romanzo è pieno di vita, come la vita stessa.

Così, come sua madre l’aveva pregato di fare Joe aveva distolto i suoi pensieri daPraga, dalla famiglia, dalla guerra. Ogni età dell’oro porta con sé tanta noncuranza quanta felicità. Solo quando entrava in un taxi, o prendeva il portafoglio o sfiorava la sedia, sentiva, nel passare, il crepitio della busta, il battito d’ali, il bisbiglio spettrale che veniva da casa e per un momento chinava la testa per la vergogna.


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