Con Tsuki e Deshu potrei inaugurare la rubrica “giovani autori crescono”. Perché Antonella Colcer è un piccolo talento da curare.
Se non vi sono mai piaciute le favole, questo non è un mio problema, ma avete tutta la mia comprensione. E ve lo dico perché, in questo caso, uno strappo alla regola potreste anche farlo. Sto parlando del primo libro – in realtà un racconto – di Antonella Colcer, Tsuki e Deshu.
Un amore clandestino, una giovane principessa dalla bellezza senza pari, un guerriero valoroso e sensibile e la storia del loro amore che ha dato origine ad una progenie illustre. Quella della Colcer è una favola a metà tra mito, leggenda e realtà storica. E questi elementi che vi ho appena riassunto in tre parole, sono svelati piano piano nel corso della narrazione, quasi come se anche la storia stessa scoprisse di essere un po’ più che una semplice favola.
Ogni mistero forse, prima o poi è destinato ad essere scoperto. Aveva dodici primavere Tsuki, quando scoprì quello legato alle sue origini.
Quella che la Colcer narra, infatti, ha i toni degli antichi miti cosmogonici, tra antiche tradizioni, leggende e popolazioni inglobate dalla storia che corre in avanti sulla sua timeline. Così la storia inizia proprio come una fiaba da “C’era una volta”, semplice e fanciullesca, che un nonno (Cosimo) fa al suo piccolo (Giuliano): un quadretto familiare che ha il calore e la dolcezza del magico rapporto che le storie narrate ad alta voce sanno creare tra narratore e uditore. Ed anche se questi due nomi potrebbero essere già indizio di un epilogo molto intrigante, noi lettori ignari ci addentriamo in quello che è il racconto di un amore voluto dal destino, quello della bellissima Principessa Tsuki e del valoroso guerriero Deshu, del loro incontro fortuito e delle cinque prove apparentemente insormontabili a cui la principessa sottopone tutti i suoi pretendenti, per provare non solo il loro valore, ma anche il loro amore per lei. Prove ingegnose, che nulla hanno a che vedere con la forza e il coraggio, ma che parlano di intelligenza, sensibilità e attenzione (o di eleganza per dirla con le parole di una amica della Ladra che abbiamo incontrato ieri). Prove che portano nel racconto le parole di una tradizione antica come il mondo, quella della filosofia e del folclore orientale, della meditazione buddista e delle tradizioni indiane. Una storia che pone i nostri due amanti e protagonisti a cavallo tra due mondi e due epoche e che ci aiutano, pagina dopo pagina, a penetrare il misterioso mondo di questa fiaba che sembra venire direttamente dal mondo delle sete e degli incensi, lì dove le divinità camminano ancora oggi tra gli esseri umani.
“L’oroscopo cinese”, affermò lei, “è un’arte divinatoria strettamente collegata alla filosofia cinese.”
Se state pensando ad una sorta di fantasy, anche in questo caso vi state sbagliando. La storia della Colcer è disseminata di riferimenti storici, sottili indizi che ci portano sino alla fine del racconto ed alla curiosa postilla che nonno Cosimo farà al suo nipotino Giuliano, prima della loro partenza per la villa di Careggi (e chi conosce un po’ di storia, a questo punto credo abbia capito di chi sto parlando). Dall’imperatore Costantino a riferimenti storici e filosofici più sottili: ogni indizio ci porta all’epilogo ed al mito di una delle stirpi di regnanti più antiche e importanti al mondo. Ma non dobbiamo dimenticare che sempre di una storia di amore stiamo parlando, delle più belle e dolci che si siano mai lette.
Ho sempre lottato per amore, per amore dell’Impero Pratihara e del mio popolo. Ora ho deciso di lottare per il mio amore.
Non voglio dilungarmi sulle parole affascinanti con cui la Colcer fa rivivere alcune leggende tra le più antiche e una delle storie più belle di tutti i tempi, ma il suo stile è completo, seppur semplice e lineare, a tratti immaturo ma ricordate che stiamo parlando di una selfpublisher alla sua prima opera. Non è una giustificazione, ma se le perle si trovano sulle strade meno battute, alle volte ci capita anche di incontrarle al loro stadio primigenio e di avere voglia di curarle affinché diventino quello che in potenza già sono.
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