Il Viaggio di Elisabet, di Jostein Gaarder è un libro da leggere giorno dopo giorno, ripercorrendo a ritroso i tempi e gli spazi di una delle storie più antiche del mondo. Un viaggio verso la Terrasanta che ha il profumo di una iniziazione.
Che Gaarder avesse la forza di tenerti incollato alle sue pagine, lo avevo già intuito ne “Il mondo di Sofia” e “L’enigma del solitario“. Con quel suo stile fluido, semplice ma mai scontato ed un’ordito cesellato e intarsiato passo dopo passo. Il Viaggio di Elisabet conferma quanto pensavo su questo scrittore e filosofo straordinario. Ed è così ben architettato che voglio inaugurare con lui Un Natale di Libri, ovvero le recensioni dei libri che vi consiglio di leggere (o regalare) per Natale.
Qual è il mistero che si cela dietro l’improvvisa scomparsa, proprio dal reparto giocattoli di un grande magazzino, di Elisabet Hansen, una ragazzina simpatica e volitiva? Semplice: quando ha visto un agnellino di peluche prendere vita e scappar via come un fulmine, Elisabet non ha saputo resistere alla tentazione d’inseguirlo per fargli anche soltanto una piccola carezza… E come darle torto? Tanto più che, ben presto, all’agnellino si sono affiancati alcuni angeli maliziosi e birichini, svariati personaggi biblici, il governatore della Siria, un altezzoso imperatore e altre pecore, formando così una straordinaria comitiva che ha preso a viaggiare a ritroso nel tempo e verso la Terrasanta. Ma qual è lo scopo di quel viaggio così singolare? A scoprirlo sarà un ragazzino, Joakim, aprendo, giorno dopo giorno, le ventiquattro finestrelle di un calendario dell’Avvento da cui cadono, come per magia, altrettanti misteriosi foglietti che lo trasportano in un altro tempo, in un altro mondo, in un’altra storia che, forse, è la storia di Elisabet… o forse no.
Ora, non mi sembra necessario specificare che la storia che fa da sfondo all’avventura di Elisabet e Joakim è quella che tutti conosciamo e che, nel bene e nel male, credenti o non credenti, tutti quanti ci hanno raccontato, ovvero quella della nascita di un bimbo chiamato Gesù. Mi sembra però doveroso avvertirvi che non si tratta di un testo religioso, quanto più di un romanzo di formazione, un’avventura iniziatica che i suoi personaggi intraprendono verso la ricerca della (o delle) verità, del senso profondo della vita e dell’essere al mondo, dell’ineluttabilità dell’esistenza. Tutti nessuno escluso.
Più comprendiamo, più scopriamo le cose che ci circondano. E più scopriamo le cose intorno a noi, più comprendiamo. Sicché c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, purché teniamo occhi e orecchi aperti sul mondo meraviglioso in cui viviamo.
Dopo tutto, non dobbiamo dimenticare che a scrivere è un filosofo, abituato ad insegnare e a fare filosofia, non solo a parlarne. Ed ecco perché, seguendo una trama da giallo storico, in cui la realtà si fonde con il mito e la fantasia diventa leggenda, ci ritroviamo catapultati all’interno di un vecchio Calendario dell’Avvento, abitato da angeli, capretti, Re Magi, anziani fiorai e cammelli, le cui figure ricordano molto quelle dei tarocchi del Castello di Calvino. Finestrella dopo finestrella, intorno alla figura della piccola Elisabet si raduna un vero e proprio corteo di figure simboliche e archetipiche che, raccontando un pezzo della propria storia, aggiungono un tassello in più alla costruzione di questo giallo storico un po’ fuori dagli schemi. Sì, perché fuori dal Calendario, il giovane Joakim viene investito del ruolo di “ricercatore”, in grado di superare le barriere di tempo e spazio e di indagare sia sulla scomparsa di Elisabet, sia sul messaggio profondo che si cela dietro questa avventura.
“Sai, il mondo cambia di continuo: la storia è come una pila di frittelle, ognuna delle quali è una nuova carta del mondo.”
Joakim lo fissò: “Frittelle?” ripeté, incredulo.
Il padre annuì. “Non basta chiedersi dove avvengano le cose e neppure quando. Ci si deve chiedere quando e dove.”
Solo comminando al fianco di Elisabet in questo suo cammino lungo 24 giorni, scopriamo che questa bambina è la metafora di quello sguardo curioso, di quella fame di conoscenza che vive, più o meno, in tutti noi, di quella stessa vita che spinge gli esseri viventi semplicemente ad “essere” al mondo. E proprio grazie alla sua innocenza si apre verso il possibile, il diverso, il folle e l’immaginifico, ed è in grado di carpire l’unica verità di questo mondo, ovvero che non ne esiste una sola, ma una molteplicità, tante quanti possono essere i punti di vista da cui si guarda il mondo.
E Joakim? Joakim siamo noi, ovvero tutti coloro che tanto innocenti non sono più e che non sempre riescono a guardare con occhio “pulito” il mondo e i suoi accadimenti. Joakim è tutti coloro che partono alla ricerca della verità e che, prima di capire, devono imparare a scrollarsi di dosso preconcetti, pregiudizi, routine.
“Anche se in cielo di fosse soltanto una stella, essa desterebbe la stessa meraviglia di tutte le altre messe insieme. Nessuno va in giro a piagnucolare perché c’è una luna sola. Al contrario: seppure ce ne fossero cento, si darebbero fastidio a vicenda. Quando c’è sovrabbondanza di una cosa, si rischia di guardarla senza riuscire più ad apprezzarla…”
Ma forse una verità assoluta, in questo testo, c’è. Ed è il messaggio di pace che Gaarder affida alla piccola Elisabet, ai suoi foglietti chiusi nel calendario dell’Avvento, a Joakim ed al misterioso libraio che cambierà per sempre la vita del ragazzo e della sua famiglia. Un messaggio che gli farà scrivere “Gli uomini non impareranno mai a non lottare l’uno contro l’altro 〈…〉 La pace è il messaggio di Natale.”
Questo di Gaarder penso sia un bel “Canto di Natale”, in grado andare oltre al “fatto religioso” pur parlandone apertamente. E poi, la sua forma strutturata in24 capitolo, uno per ogni giorno dell’Avvento, ci permette di leggerlo tutto d’un fiato o di assaporarne la bellezza aprendo un solo capitolo al giorno, dal primo al 24 dicembre. Proprio come facevamo da piccoli 🙂
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