Tu di Enrico Redaelli – Ladri di Notte
Arriva il week-end e di solito si dovrebbe essere più contenti.
Io no.
Arriva il week-end e inizio a sentirmi come un baobab. Devo prendere questo treno che compie
tutte le fermate, che mi angoscia. E ormai sono abituato anche alle persone che ogni venerdì
viaggiano con me. Ma se di solito la consuetudine mi rassicura, questo mio viaggiare verso di te
diventa più una routine. E sembrano baobab anche i passeggeri del mio scompartimento.
Perché lo devo fare ogni volta?
Tutte le volte, sempre gli stessi.
Il ragazzotto adolescente vestito come un rapper, perennemente immerso nelle sue cuffie gialle
sgargianti perennemente celato dietro al paravento dei suoi occhiali scuri. Guarda che se anche hai
le cuffie si sente tutto lo stesso… glielo devo dire?
La signora di quell’età indefinita che tenta di darsi un tono cercando di stare al passo con i tempi sia
nel vestire, sia nel pettinarsi allo stesso modo. Peccato che quelli che ha in mente lei siano altri
tempi. Guarda sempre il pavimento nello stesso punto.
Il signore in doppiopetto che, appena si siede, saluta quasi ci dovesse fare un piacere e si
addormenta subito, senza russare per fortuna. Ma ogni volta che scendo al capolinea, lo lascio lì
ancora abbracciato nel suo sonno. Chissà chi lo sveglierà.
Mister doppiopetto è l’unica cosa che mi fa sorridere un po’ nel tragitto. Ogni volta cerco di
distrarmi guardando fuori dal finestrino. Vedo solo paesaggi abbandonati, ambienti tristi, case
diroccate che sembrano sul punto di piangere. Anche i fili elettrici che collegano i pali della ferrovia
mi sembrano sorrisi rovesciati. Tutto questo potrebbe essere una forma di solidarietà nei miei
confronti, non ci avevo pensato.
Morire che in questi anni TU abbia mai alzato il culo per venire qui!
“Ma è e sarà sempre il nostro covo d’amore, qui”, mi risponderesti.
Covo d’amore. Dovevo essere proprio cotto per farmi piacere questa tua espressione. Un bilocale
che sa molto di monolocale. Cucinino a vista, soggiorno, stanza da letto e bagno. In parole povere si
mangia in branda, si dorme in mezzo ai piatti da lavare. Forse il suo essere ‘piccolo’ ha ispirato in lei
la nascita di questo modo di dire.
Tre quarti d’ora separano la partenza e l’arrivo e, poco prima di metà viaggio, ci si mette anche il
cielo a diventare di piombo, come se a destinazione mi dovesse aspettare il papà di tutti gli uragani.
È un progressivo svuotarsi che non è per niente liberatorio e che mi rende mentalmente fiacco.
Io non ero così…
Uh, la signora fa qualcosa di nuovo, si mette a leggere. Sarei curioso di sapere quale titolo ha scelto
per questa trasferta, giusto per inquadrare meglio che tipo sia. Solo che tira fuori un lettore
elettronico, di quelli che smontano i pettegoli come me, accidenti.
Il rapper invece spegne la musica e si toglie le cuffie. Si leva pure gli occhialoni per guardare fuori
dal finestrino. Per quanto il panorama non sia un granché lo vedo compreso in quello che vede.
Mister doppiopetto apre addirittura un occhio, anche se per pochi secondi. Allora fa sempre finta di
sonnecchiare!
“Ciao com’è andato il viaggio?” è la frase con cui esordisci sempre. Che palle. E poi dritti al
nostro covo d’amore.
Accidenti, se devo essere una pianta non voglio più essere un baobab ma un sicomoro capace di
togliere le proprie radici da un posto e spostarle in un altro. Sono sempre stato dinamico e
abbastanza pieno di risorse nella mia vita. E allora perché mi hai voluto inciabattare? Sono più
comodo da gestire? Sono il soprammobile da esibire il giorno della festa?
Non sono migliore di te e comunque non sono mai stato questo nella mia vita.
Sarebbe bello alla prossima fermata cambiare treno e tornare indietro.
Ti lascio ma ti meriti la dignità di una spiegazione. Ah, quante te ne dirò. Senza rinfacciarti nulla,
stai tranquilla. E sarò irremovibile.
Come un baobab, come un sicomoro. E vedrai che riuscirò insieme ad altri baobab o ad altri
sicomori a costruire un covo come dico io, senza la solitudine delle tue sabbie mobili.