Tra antiche leggende e potenti mitologie, oggi scopriamo insieme “Albion” di Bianca Marconero, un libro curioso ed interessante, che non dà nulla per scontato…perché le leggende non muoiono mai.
Che le leggende non morissero mai, lo sapevamo tutti. Nel bene o nel male, i miti si trascinano nel corso della storia, arricchendosi, impoverendosi, trasformandosi in base a chi li racconta o al periodo storico che stanno attraversando. Ma che potessero “realmente” vivere e camminare tra noi in carne ed ossa, solo l’inventiva di Bianca Marconero poteva arrivarci.
Ecco perchè oggi, voglio parlarvi di un amico di vecchia data: un libro che, qualche mese fa, mi ha tenuto compagnia durante le notti insonni degli ultimi mesi di gravidanza. Sto parlando di Albion (Albion – Ciclo del primo anno Vol. 1), primo libro del ciclo dedicato alla storia di Marco Cinquedraghi e dei suoi amici (e nemici), non recentissimo, ma che ha il potere di incuriosire e di attrarre come il miele per le api.
“Cresciuto senza madre, e dopo aver perduto il fratello maggiore, nel giorno del funerale dell’amatissimo nonno, Marco Cinquedraghi riceve la notizia che gli cambierà la vita: deve lasciare Roma e partire per la Svizzera. È infatti giunto il momento di iscriversi all’Albion College, la scuola in cui, da sempre, si diplomano i membri della sua famiglia.
Ma il blasonato collegio riserva molte sorprese. Tra duelli di spade e lezioni di filologia romanza, mistici poteri che riaffiorano e verità sepolte dal tempo che riemergono, Marco scoprirà il valore dell’amicizia e capirà che l’amore, quello vero, non si ottiene senza sacrificio.
Nelle trame ordite dal più grande dei maghi e nell’eco di un amore indimenticabile si ridestano legami immortali, scritti nel sangue. Fino all’epilogo, tra le mura di un’antica abbazia, dove Marco conoscerà la strada che le stelle hanno in serbo per lui.
Il destino di un re il cui nome è leggenda.”
Ora non vi svelerò il nome di questo “re leggendario”. Chi come me è cresciuto (e vissuto) nella fascinazione dell’antico Ciclo Bretone, non ha bisogno di altre spiegazioni. Chi, invece, ne è all’oscuro, mi ringrazierà per non aver svelato in anticipo il piccolo “segreto” che avvolge le vite di Marco, Deacon, Helena, Lance e tutti i personaggi di questo romanzo. Ed ecco alcune buone ragioni per cui vale la pena leggerlo!
Si può brancolare nell’oscurità per secoli, purché resista la fiamma della speranza. Purché perduri la convinzione che il bene, come il male, non può essere sconfitto.
La trama – Crescita, amore, amicizia, responsabilità, antichi poteri, una leggenda mai dimenticata. Ecco gli ingredienti che danno sapidità a questo romanzo, a metà tra romance e fantasy (urban fantasy per la precisione), sapientemente mescolati tra loro, in un susseguirsi di eventi che non ti lascia mai. Il libro della Marconero mi ha lasciato letteralmente senza fiato: pagina dopo pagina la narrazione scorre veloce, quasi violenta, quasi come se a condurla fosse lo stesso destino ineluttabile con cui devono fare i conti tutti i personaggi del romanzo. A conti fatti, come molte Young adult novel, anche questo può definirsi un romanzo di crescita e di formazione, in cui tutti gli elementi sono studiati per traghettare i protagonisti verso la maturità e l’età adulta. In pratica, però, il legame che l’autrice crea con un passato mitico e antico, che sembra vincolare le vite di tutti, getta qualcosa di nuovo su questi scenari già conosciuti e mette i protagonisti di fronte ad una di quelle domande che spesso anche noi adulti navigati ci troviamo a porci: “siamo veramente padroni del nostro destino?” Tra colpi di scena e rivelazioni inaspettate, ci troveremo coinvolti, insieme ai nostri protagonisti, in una vera e propria “quête”, al termine della quale scopriremo che non tutti trovano la medesima risposta.
Marco non si scompose, non aveva alcun desiderio di piangere. Non era neppure certo di saperlo fare. Non aveva pianto neanche per suo fratello Riccardo, morto due anni prima, all’età di diciassette anni, e non avrebbe pianto per suo nonno.
I personaggi – Chi è chi? Ecco la domanda che sembra urlare il romanzo ad ogni pagina. Mentre il “segreto” che avvolge le vite dei nostri protagonisti si svela poco a poco, ci ritroviamo coinvolti in questo “terribile” gioco delle parti in cui caratteri, personalità, atteggiamenti vengono sapientemente svelati passo dopo passo, con il chiaro intento di spingere il lettore alla ricerca del proprio personaggio. Piccoli indizi che l’autrice sparge per tutto il romanzo, che ci fanno piacevolmente penare, e che permettono ai singoli protagonisti di delineare le proprie personalità con naturalezza e spontaneità. Non so voi, ma non ho mai gradito le pesanti intromissioni dell’autore nella descrizione dei personaggi. Quando cominciano a dilungarsi in paragrafi di descrizione, sui caratteri e sulle qualità fisiche dei propri personaggi, mi assale una gran voglia di “saltare” a piè pari queste pagine! Bene, questo difetto Albion sembra non avercelo! Eppure, nonostante gli sforzi profusi per dare “naturalezza” ai propri personaggi, penso che la Marconero si faccia prendere un po’ troppo la mano. Questo fatto del “destino” e della predestinazione, più spronare i protagonisti alla quête, mi è sembrato li legasse a tal punto da rendere innaturali e troppo affettate alcune loro scelte e comportamenti. Non voglio dire di più per paura di spoilerare troppo, ma se guardate i due personaggi chiave, Marco e Lance, fa quasi venire il nervoso per quanto manchino di iniziativa, da quanto un generico sentimento di rassegnazione pervada ogni loro passo. Sembrano quasi legati, incapaci di muoversi e, benché progrediscano, sembrano non progredire mai. E in questo vediamo chiaramente l’autrice e la sua mano, che sa già tutto, che ha già visto dove i suoi personaggi arriveranno e come ci arriveranno, che ha già previsto i loro pensieri e le loro azioni e non riesce a lasciarli liberi di essere sé stessi. Lo so che la storia antica a cui si rifà il romanzo la conoscono anche le pietre, e che tutti già sappiamo come andrà a finire, ma penso che margini di libertà potessero essere ancora guadagnati!
“Sconfiggere un nemico non significa sconfiggere il male. E suo nonno sapeva che il male non muore mai.” Disse con l’aria di rivelargli un grande segreto. ” Ma per nostra fortuna anche la sua antitesi è immortale. Il bene è un’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri.”
Lo stile – Ora qualcuno mi odierà…non ho nulla contro i “giovani scrittori” (lo sono stata anche io), ma detesto la superficialità stilistica e linguistica con cui vengono scritti, oggi, alcuni romanzi. Non basta una bella trama, un bell’ordito, una buona dimestichezza con la scrittura ed una bella idea creativa per fare di un romanzo un buon romanzo. La lingua e lo stile non si possono liquidare con tanta facilità, relegandoli ad un posto di secondo piano. Tanto più che la nostra è una delle lingue più ricche di sfumature, assonanze, ritmicità e sinonimi, da non poter far finta che per dire “amore” si possano solo usare queste cinque lettere. A mio avviso, il primo elemento di “successo” è proprio qui: nello stile. Faccio questa premessa perché, contrariamente dalle attese, questo romanzo ha un ottimo potenziale ed un ottimo stile. Forse qualche ingenuità, qualche ripetizione di troppo e qualche dissonanza, ma un vero piacere per la lettura. Le parole scorrono come naturali sulla pagina, senza ridondare in descrizioni, senza eccedere in “perché” o “però”. Finalmente qualcuno che utilizza anche i “purché” e sfrutta al meglio le magiche sfumature di una lingua fin troppo dimenticata. Un punto a favore della Marconero che, così, riesce a distinguersi dal “mucchio” con uno stile proprio e particolare, che rende piacevole la lettura ( di tutti i libri del ciclo…premetto!).
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