LIBRERIA DEL GIALLO E DEL FANTASTICO
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Bioetica. Rivista interdisciplinare (2020)

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La scelta

20,00
Sigfrido Ranucci è uno di quegli uomini che coincidono in modo assoluto con il lavoro che si sono scelti. Insieme alla sua équipe di Report – programma televisivo amatissimo e odiato, uno dei baluardi del giornalismo d’inchiesta in Italia – ogni giorno si dedica a vagliare informazioni, collegare eventi, ascoltare voci per decidere come raccontare le notizie che qualcuno vorrebbe rimanessero sotto silenzio. La forza di Report è nella semplicità della scelta: offrire ai cittadini il romanzo crudo dei fatti attraverso un rigoroso lavoro di ricerca, anche quando la strada è irta di pericoli che toccano le vite personali dei giornalisti. Per la prima volta Ranucci racconta il cammino che lo ha condotto sin qui; lo fa scegliendo alcune inchieste fondamentali di cui svela i retroscena, ma anche evocando figure – come suo padre, atleta e finanziere di grande carisma, e il suo maestro Roberto Morrione, fondatore di Rai News 24 – che hanno forgiato in lui la capacità di portare fino in fondo ogni scelta: perché fare giornalismo sul campo significa prendere decisioni che cambiano per sempre il corso delle cose, in senso intimo e collettivo. Da queste pagine emerge l’autoritratto coraggioso di un uomo che, nonostante la pressione costante della realtà nei suoi aspetti più duri, non cede al cinismo, non smette di chiedersi e di chiederci: “Qual è la scelta giusta?”. E di trovare ogni volta la risposta, per rispettare la promessa che lo lega a un pubblico che ha ancora a cuore la legalità e la giustizia sociale.
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Sigfrido Ranucci è uno di quegli uomini che coincidono in modo assoluto con il lavoro che si sono scelti. Insieme alla sua équipe di Report – programma televisivo amatissimo e odiato, uno dei baluardi del giornalismo d’inchiesta in Italia – ogni giorno si dedica a vagliare informazioni, collegare eventi, ascoltare voci per decidere come raccontare le notizie che qualcuno vorrebbe rimanessero sotto silenzio. La forza di Report è nella semplicità della scelta: offrire ai cittadini il romanzo crudo dei fatti attraverso un rigoroso lavoro di ricerca, anche quando la strada è irta di pericoli che toccano le vite personali dei giornalisti. Per la prima volta Ranucci racconta il cammino che lo ha condotto sin qui; lo fa scegliendo alcune inchieste fondamentali di cui svela i retroscena, ma anche evocando figure – come suo padre, atleta e finanziere di grande carisma, e il suo maestro Roberto Morrione, fondatore di Rai News 24 – che hanno forgiato in lui la capacità di portare fino in fondo ogni scelta: perché fare giornalismo sul campo significa prendere decisioni che cambiano per sempre il corso delle cose, in senso intimo e collettivo. Da queste pagine emerge l’autoritratto coraggioso di un uomo che, nonostante la pressione costante della realtà nei suoi aspetti più duri, non cede al cinismo, non smette di chiedersi e di chiederci: “Qual è la scelta giusta?”. E di trovare ogni volta la risposta, per rispettare la promessa che lo lega a un pubblico che ha ancora a cuore la legalità e la giustizia sociale.
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Le belle

21,00
Nella seconda metà del Seicento, nei più importanti palazzi nobiliari, intere stanze erano destinate a ospitare i ritratti delle «donne famose» del tempo, quasi a catalogarle. Dame contemporanee, influenti personaggi di corte o bellezze leggendarie la cui fama si diffondeva velocemente fra i circoli dell'aristocrazia europea. Mogli di principi o future madri di cardinali, anelli fondamentali di alleanze politiche e pedine insostituibili di complesse strategie familiari. Personaggi celebri per la loro bellezza, spesso all'origine di passioni incoercibili e di eventi drammatici. Queste tele, note come «le Belle», popolavano le maggiori collezioni italiane ed europee. Una moda che aveva precedenti illustri e che Francesca Cappelletti racconta con appassionata ammirazione e competenza in queste pagine. Un affascinante viaggio che ci accompagna nelle camere dedicate ai ritratti femminili della cinquecentesca collezione Farnese, o in quella del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII, passando per le «Stanze delle Veneri», allestimenti fra il mitologico e il licenzioso in cui erano esposti capolavori della pittura rinascimentale raffiguranti le dee e le eroine delle favole antiche, in un tributo non solo a Venere, dea dell'amore, ma anche alle grazie delle protagoniste, spesso sfortunate, dei miti ovidiani. La presenza in questa storia di alcune straordinarie figure catalizzatrici, come per esempio Clelia Farnese, Lavinia Fontana o Maria Mancini, è un ulteriore invito a riflettere «sulle metamorfosi del ritratto femminile, ma anche sul ruolo di alcune donne, sulla loro capacità di mettere in scena se stesse, di creare un personaggio in grado di autorappresentarsi e di generare forme di ritratto». Avvicinandosi ai loro volti fino a sfiorarli, Francesca Cappelletti ne disvela passioni, paure e speranze, ma soprattutto offre una nuova prospettiva per indagare il ruolo della donna nella storia.
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Nella seconda metà del Seicento, nei più importanti palazzi nobiliari, intere stanze erano destinate a ospitare i ritratti delle «donne famose» del tempo, quasi a catalogarle. Dame contemporanee, influenti personaggi di corte o bellezze leggendarie la cui fama si diffondeva velocemente fra i circoli dell'aristocrazia europea. Mogli di principi o future madri di cardinali, anelli fondamentali di alleanze politiche e pedine insostituibili di complesse strategie familiari. Personaggi celebri per la loro bellezza, spesso all'origine di passioni incoercibili e di eventi drammatici. Queste tele, note come «le Belle», popolavano le maggiori collezioni italiane ed europee. Una moda che aveva precedenti illustri e che Francesca Cappelletti racconta con appassionata ammirazione e competenza in queste pagine. Un affascinante viaggio che ci accompagna nelle camere dedicate ai ritratti femminili della cinquecentesca collezione Farnese, o in quella del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII, passando per le «Stanze delle Veneri», allestimenti fra il mitologico e il licenzioso in cui erano esposti capolavori della pittura rinascimentale raffiguranti le dee e le eroine delle favole antiche, in un tributo non solo a Venere, dea dell'amore, ma anche alle grazie delle protagoniste, spesso sfortunate, dei miti ovidiani. La presenza in questa storia di alcune straordinarie figure catalizzatrici, come per esempio Clelia Farnese, Lavinia Fontana o Maria Mancini, è un ulteriore invito a riflettere «sulle metamorfosi del ritratto femminile, ma anche sul ruolo di alcune donne, sulla loro capacità di mettere in scena se stesse, di creare un personaggio in grado di autorappresentarsi e di generare forme di ritratto». Avvicinandosi ai loro volti fino a sfiorarli, Francesca Cappelletti ne disvela passioni, paure e speranze, ma soprattutto offre una nuova prospettiva per indagare il ruolo della donna nella storia.
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Omicidio di Emma Canton

15,60
Quello di Emma Canton, la ragazza 22enne assassinata brutalmente nella notte tra sabato 4 e domenica del 5 febbraio del 1933 a Sant’Antonio Tortal da Abele De Barba, è un omicidio orrendo per le modalità adottate dall’assassino. Un omicidio reso ancor più odioso perché Emma era incinta di due mesi a seguito della relazione poi interrotta con lo stesso suo carnefice. Di più. Come rivelano gli atti processuali conservati all’Archivio di Stato di Venezia, Emma, anche da morta, sarà lasciata sola dalla comunità in cui vive. Su una sessantina di testimoni, infatti, ad inquadrare la personalità dell’assassino è stata solo un’altra donna, la vicina di casa dell’omicida, che dichiarerà agli inquirenti: “E’ un giovane falso, e nell’intimità un violento”! Per tutti gli altri, Abele De Barba è un bravo giovane laborioso! Spiace constatare che novant’anni sembrano trascorsi inutilmente, dal momento che anche oggi succedono fatti analoghi, dove talvolta è ancora la vittima ad essere colpevolizzata. Ma le indagini sul caso Canton sono condotte egregiamente e le prove di colpevolezza sono inconfutabili, tali da inchiodare l’assassino. Così il 12 ottobre 1933, otto mesi dopo il delitto e con una serie di colpi di scena, la Corte d’Assise di Belluno condanna all’ergastolo, inasprito da un anno di isolamento, il 22enne di Sant’Antonio di Tortal, Abele De Barba, per aver ucciso per motivi abbietti e con premeditazione la povera Emma Canton. Ma l’ergastolo in Italia, non significa fine pena mai, come si vedrà, nemmeno per i peggiori criminali.
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Omicidio di Emma Canton

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Quello di Emma Canton, la ragazza 22enne assassinata brutalmente nella notte tra sabato 4 e domenica del 5 febbraio del 1933 a Sant’Antonio Tortal da Abele De Barba, è un omicidio orrendo per le modalità adottate dall’assassino. Un omicidio reso ancor più odioso perché Emma era incinta di due mesi a seguito della relazione poi interrotta con lo stesso suo carnefice. Di più. Come rivelano gli atti processuali conservati all’Archivio di Stato di Venezia, Emma, anche da morta, sarà lasciata sola dalla comunità in cui vive. Su una sessantina di testimoni, infatti, ad inquadrare la personalità dell’assassino è stata solo un’altra donna, la vicina di casa dell’omicida, che dichiarerà agli inquirenti: “E’ un giovane falso, e nell’intimità un violento”! Per tutti gli altri, Abele De Barba è un bravo giovane laborioso! Spiace constatare che novant’anni sembrano trascorsi inutilmente, dal momento che anche oggi succedono fatti analoghi, dove talvolta è ancora la vittima ad essere colpevolizzata. Ma le indagini sul caso Canton sono condotte egregiamente e le prove di colpevolezza sono inconfutabili, tali da inchiodare l’assassino. Così il 12 ottobre 1933, otto mesi dopo il delitto e con una serie di colpi di scena, la Corte d’Assise di Belluno condanna all’ergastolo, inasprito da un anno di isolamento, il 22enne di Sant’Antonio di Tortal, Abele De Barba, per aver ucciso per motivi abbietti e con premeditazione la povera Emma Canton. Ma l’ergastolo in Italia, non significa fine pena mai, come si vedrà, nemmeno per i peggiori criminali.
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Contro Antigone

13,00
«Vittima com'è di una disperata follia di annientamento e di distruzione, Antigone non ama nessuno, così come non ama sé stessa: il suo solo e vero amore è la morte». In una rilettura controcorrente della più celebre figura tragica della classicità, Eva Cantarella smonta pezzo per pezzo le basi su cui si fonda il mito di Antigone. Per la sua determinazione a dare sepoltura al fratello Polinice, violando la legge cittadina per obbedire a una legge non scritta, Antigone ha rappresentato nei secoli il modello insuperato di chi si oppone a un regime tirannico, di chi reagisce di fronte ai diritti calpestati e negati, di ogni donna in lotta contro il potere maschile. Ma questa figura che sembra racchiudere in sé ogni virtù non corrisponde al personaggio cui Sofocle ha dedicato l'omonima tragedia oltre 2500 anni fa. Ed è esplorando la distanza tra mito e personaggio che Eva Cantarella mette in luce lati sorprendentemente negativi dell'eroina da tutti osannata e arriva a contestare il ruolo di despota attribuito a Creonte, protagonista di una drammatica vicenda umana e politica che lo rende una figura non meno interessante e non meno tragica.
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Contro Antigone

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«Vittima com'è di una disperata follia di annientamento e di distruzione, Antigone non ama nessuno, così come non ama sé stessa: il suo solo e vero amore è la morte». In una rilettura controcorrente della più celebre figura tragica della classicità, Eva Cantarella smonta pezzo per pezzo le basi su cui si fonda il mito di Antigone. Per la sua determinazione a dare sepoltura al fratello Polinice, violando la legge cittadina per obbedire a una legge non scritta, Antigone ha rappresentato nei secoli il modello insuperato di chi si oppone a un regime tirannico, di chi reagisce di fronte ai diritti calpestati e negati, di ogni donna in lotta contro il potere maschile. Ma questa figura che sembra racchiudere in sé ogni virtù non corrisponde al personaggio cui Sofocle ha dedicato l'omonima tragedia oltre 2500 anni fa. Ed è esplorando la distanza tra mito e personaggio che Eva Cantarella mette in luce lati sorprendentemente negativi dell'eroina da tutti osannata e arriva a contestare il ruolo di despota attribuito a Creonte, protagonista di una drammatica vicenda umana e politica che lo rende una figura non meno interessante e non meno tragica.
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Esaurito
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Sulla poesia moderna

14,00
Fra la metà del Settecento e la metà del Novecento la poesia occidentale si trasforma. I poeti acquistano una libertà senza precedenti: possono scrivere in modo oscuro, infrangere le regole del metro e della sintassi, rinnovare il lessico, eliminare ogni mediazione fra la propria persona biografica e il personaggio che nei testi dice "io". La poesia diventa così il genere più egocentrico della letteratura moderna. Analizzando alcuni testi esemplari l'autore ricostruisce le tappe di questa metamorfosi e le interpreta come il sintomo di mutazioni storiche profonde.
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Sulla poesia moderna

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Fra la metà del Settecento e la metà del Novecento la poesia occidentale si trasforma. I poeti acquistano una libertà senza precedenti: possono scrivere in modo oscuro, infrangere le regole del metro e della sintassi, rinnovare il lessico, eliminare ogni mediazione fra la propria persona biografica e il personaggio che nei testi dice "io". La poesia diventa così il genere più egocentrico della letteratura moderna. Analizzando alcuni testi esemplari l'autore ricostruisce le tappe di questa metamorfosi e le interpreta come il sintomo di mutazioni storiche profonde.
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Declino Italia

12,00
L'Italia è in declino perché è organizzata in modo iniquo e inefficiente. Le rendite di pochi comprimono le opportunità di molti, e sono protette dalla tensione tra la razionalità individuale e l'interesse collettivo. Questa logica è ferrea ma reversibile. Una battaglia di idee può cambiarla, liberando energie ora sperperate, e avviare il rilancio. Questo libro tenta una lettura unitaria delle cause economiche e politiche del declino dell'Italia, che dura da un quarto di secolo. La tesi di fondo è che il Paese è organizzato in modo meno equo ed efficiente dei suoi pari: la supremazia della legge e la responsabilità politica sono piú deboli, in particolare, e ciò comprime sia la produttività delle imprese sia le opportunità dei cittadini. Il senso di questo equilibrio politico-economico è la difesa della rendita, e la sua forza è la tensione tra la razionalità individuale e l'interesse collettivo. Questa logica è ferrea ma reversibile. Una battaglia di idee può scardinarla, liberando energie civili e risorse materiali ora sperperate, e avviare il rilancio.
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L'Italia è in declino perché è organizzata in modo iniquo e inefficiente. Le rendite di pochi comprimono le opportunità di molti, e sono protette dalla tensione tra la razionalità individuale e l'interesse collettivo. Questa logica è ferrea ma reversibile. Una battaglia di idee può cambiarla, liberando energie ora sperperate, e avviare il rilancio. Questo libro tenta una lettura unitaria delle cause economiche e politiche del declino dell'Italia, che dura da un quarto di secolo. La tesi di fondo è che il Paese è organizzato in modo meno equo ed efficiente dei suoi pari: la supremazia della legge e la responsabilità politica sono piú deboli, in particolare, e ciò comprime sia la produttività delle imprese sia le opportunità dei cittadini. Il senso di questo equilibrio politico-economico è la difesa della rendita, e la sua forza è la tensione tra la razionalità individuale e l'interesse collettivo. Questa logica è ferrea ma reversibile. Una battaglia di idee può scardinarla, liberando energie civili e risorse materiali ora sperperate, e avviare il rilancio.
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Romanzo di uno scandalo. La Banca Romana tra finzione e realtà

29,00
Scoppiato alla fine del 1892, il caso politico-finanziario della Banca Romana resta uno dei più memorabili scandali istituzionali di tutti i tempi. Portò a galla le magagne di un'intera classe dirigente, minacciò di travolgere personaggi del calibro di Crispi e Giolitti, culminò in un processo oscillante tra il melodramma e la farsa, concluso da un verdetto surreale. D'altra parte, fu denunciato da una minoranza parlamentare agguerrita, mobilitò l'opinione pubblica, mise in luce non solo le debolezze ma anche le risorse della democrazia rappresentativa. Zeppo di figure pittoresche, coincidenze spiazzanti e misteri irrisolti, attirò l'interesse sia di autori come Zola e Pirandello sia di scrittori e giornalisti ormai dimenticati, alimentando una consistente ed eterogenea produzione narrativa. Questo libro inquadra il contesto europeo in cui la vicenda si situa, ne ricostruisce il corso attingendo a fonti d'epoca, e propone un'analisi delle principali opere a essa ispirate, da quelle contigue ai fatti fino ad alcune rievocazioni dei giorni nostri.
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Romanzo di uno scandalo. La Banca Romana tra finzione e realtà

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Scoppiato alla fine del 1892, il caso politico-finanziario della Banca Romana resta uno dei più memorabili scandali istituzionali di tutti i tempi. Portò a galla le magagne di un'intera classe dirigente, minacciò di travolgere personaggi del calibro di Crispi e Giolitti, culminò in un processo oscillante tra il melodramma e la farsa, concluso da un verdetto surreale. D'altra parte, fu denunciato da una minoranza parlamentare agguerrita, mobilitò l'opinione pubblica, mise in luce non solo le debolezze ma anche le risorse della democrazia rappresentativa. Zeppo di figure pittoresche, coincidenze spiazzanti e misteri irrisolti, attirò l'interesse sia di autori come Zola e Pirandello sia di scrittori e giornalisti ormai dimenticati, alimentando una consistente ed eterogenea produzione narrativa. Questo libro inquadra il contesto europeo in cui la vicenda si situa, ne ricostruisce il corso attingendo a fonti d'epoca, e propone un'analisi delle principali opere a essa ispirate, da quelle contigue ai fatti fino ad alcune rievocazioni dei giorni nostri.
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Leyla e Majnun

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Diario. Le stesure originali

13,00
28 marzo 1944. Dall'esilio londinese il ministro olandese dell'Istruzione lancia un appello ai connazionali perché conservino ogni testimonianza utile a raccontare quanto sta accadendo nei Paesi Bassi occupati dai nazisti. Ad ascoltarlo c'è un'adolescente ebrea che vive ad Amsterdam in un nascondiglio. Il suo nome, oggi universalmente noto, è Anne Frank. Anne ama scrivere, da grande vuole fare la giornalista o la scrittrice, e ne ha tutte le doti; compone qualche racconto, ma soprattutto da circa due anni tiene un diario: un testo intimo, destinato solo a se stessa, che definisce «la confessione di un brutto anatroccolo». Ma a partire da quel giorno, in cui scopre il valore della memoria, la «bambina di Amsterdam» si dedica consapevolmente a riscriverlo, il diario, per conferirgli valore eterno di testimonianza. Gli dà forma epistolare, dei personaggi e anche un titolo, La casa sul retro; ne controlla lo stile e ordina il materiale in vista di un pubblico, di futuri lettori. Preziosa fonte storiografica e precoce laboratorio di scrittura, il Diario, nella sua duplice redazione (A e B), mette in luce tutta la valenza umana e letteraria di un «libro composto sul confine dell'abisso».
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Diario. Le stesure originali

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28 marzo 1944. Dall'esilio londinese il ministro olandese dell'Istruzione lancia un appello ai connazionali perché conservino ogni testimonianza utile a raccontare quanto sta accadendo nei Paesi Bassi occupati dai nazisti. Ad ascoltarlo c'è un'adolescente ebrea che vive ad Amsterdam in un nascondiglio. Il suo nome, oggi universalmente noto, è Anne Frank. Anne ama scrivere, da grande vuole fare la giornalista o la scrittrice, e ne ha tutte le doti; compone qualche racconto, ma soprattutto da circa due anni tiene un diario: un testo intimo, destinato solo a se stessa, che definisce «la confessione di un brutto anatroccolo». Ma a partire da quel giorno, in cui scopre il valore della memoria, la «bambina di Amsterdam» si dedica consapevolmente a riscriverlo, il diario, per conferirgli valore eterno di testimonianza. Gli dà forma epistolare, dei personaggi e anche un titolo, La casa sul retro; ne controlla lo stile e ordina il materiale in vista di un pubblico, di futuri lettori. Preziosa fonte storiografica e precoce laboratorio di scrittura, il Diario, nella sua duplice redazione (A e B), mette in luce tutta la valenza umana e letteraria di un «libro composto sul confine dell'abisso».
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Il problema Spinoza

15,00
Estonia, 1910. Il diciassettenne Alfred Rosenberg, accusato di aver proferito violenti commenti antisemiti in classe, viene condannato dal preside Epstein a una singolare punizione: imparare a memoria alcuni passi dell'autobiografia di Goethe, il poeta che l'adolescente dichiara di venerare come emblema stesso del popolo tedesco. In particolare si tratta dei brani in cui l'autore del Faust si dichiara fervente ammiratore di Baruch Spinoza, il grande filosofo ebreo del diciassettesimo secolo. La lettura insinua nella mente del giovane Rosenberg un tarlo che lo accompagnerà per il resto della vita: come può il sommo Goethe aver tratto ispirazione da un uomo di razza inferiore? Amsterdam, 1656. Bento, in ebraico Baruch, Spinoza ha ventitré anni: la sua famiglia è di origine portoghese, sfuggita all'Inquisizione e riparatasi nella più tollerante Olanda. L'aspetto del giovane Baruch è distinto e raffinato: i lineamenti aggraziati, la pelle priva di imperfezioni, gli occhi grandi, scuri e profondi. E, dietro quegli occhi, una mente che non esita a elaborare pensieri eccentrici sulla fede, e idee sul mondo così poco ortodosse da attirare il sospetto di eresia. Bento di nascosto si istruisce sulla lingua e le idee di Aristotele e dei grandi filosofi greci presso l'accademia di Franciscus van den Enden, un elegante uomo di mondo, quel mondo esterno così inviso alla comunità ebraica. Van den Enden addirittura osa affidare parte dell'insegnamento alla figlia Clara Maria, una giovane dal collo lungo e il sorriso seducente di cui Baruch si invaghisce puntualmente. Il risultato di questa educazione filosofica e sentimentale è scontato: il giovane pensatore viene scomunicato e costretto a condurre una vita solitaria e appartata, che lo porterà tuttavia a produrre opere sublimi per profondità e drammaticità. Opere che trecento anni dopo non smettono di tormentare, sotto forma di incessanti domande, l'«ariano» Rosenberg, divenuto uno dei fondatori del partito nazista e stretto collaboratore di Hitler: davvero Baruch Spinoza, quest'uomo appartenente a una razza da sterminare, è riuscito a sviluppare un pensiero filosofico così lucido e geniale? O forse il segreto della sua genialità non sta nella sua mente, ma altrove? Magari nella sua piccola biblioteca personale, su cui la guerra consente di mettere le mani?
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Il problema Spinoza

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Estonia, 1910. Il diciassettenne Alfred Rosenberg, accusato di aver proferito violenti commenti antisemiti in classe, viene condannato dal preside Epstein a una singolare punizione: imparare a memoria alcuni passi dell'autobiografia di Goethe, il poeta che l'adolescente dichiara di venerare come emblema stesso del popolo tedesco. In particolare si tratta dei brani in cui l'autore del Faust si dichiara fervente ammiratore di Baruch Spinoza, il grande filosofo ebreo del diciassettesimo secolo. La lettura insinua nella mente del giovane Rosenberg un tarlo che lo accompagnerà per il resto della vita: come può il sommo Goethe aver tratto ispirazione da un uomo di razza inferiore? Amsterdam, 1656. Bento, in ebraico Baruch, Spinoza ha ventitré anni: la sua famiglia è di origine portoghese, sfuggita all'Inquisizione e riparatasi nella più tollerante Olanda. L'aspetto del giovane Baruch è distinto e raffinato: i lineamenti aggraziati, la pelle priva di imperfezioni, gli occhi grandi, scuri e profondi. E, dietro quegli occhi, una mente che non esita a elaborare pensieri eccentrici sulla fede, e idee sul mondo così poco ortodosse da attirare il sospetto di eresia. Bento di nascosto si istruisce sulla lingua e le idee di Aristotele e dei grandi filosofi greci presso l'accademia di Franciscus van den Enden, un elegante uomo di mondo, quel mondo esterno così inviso alla comunità ebraica. Van den Enden addirittura osa affidare parte dell'insegnamento alla figlia Clara Maria, una giovane dal collo lungo e il sorriso seducente di cui Baruch si invaghisce puntualmente. Il risultato di questa educazione filosofica e sentimentale è scontato: il giovane pensatore viene scomunicato e costretto a condurre una vita solitaria e appartata, che lo porterà tuttavia a produrre opere sublimi per profondità e drammaticità. Opere che trecento anni dopo non smettono di tormentare, sotto forma di incessanti domande, l'«ariano» Rosenberg, divenuto uno dei fondatori del partito nazista e stretto collaboratore di Hitler: davvero Baruch Spinoza, quest'uomo appartenente a una razza da sterminare, è riuscito a sviluppare un pensiero filosofico così lucido e geniale? O forse il segreto della sua genialità non sta nella sua mente, ma altrove? Magari nella sua piccola biblioteca personale, su cui la guerra consente di mettere le mani?
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The dark side. Viaggio nella mente criminale

16,90
Per scorgere tracce di umanità in chi ha commesso crimini bestiali è necessario conoscere gli angoli più oscuri della mente e avere il coraggio di guardarci dentro. Senza mai dimenticarsi dove si trova la luce. Questo è il lavoro di Kerry Daynes, una delle criminologhe più affermate del Regno Unito, che da venticinque anni collabora nelle indagini del governo britannico per risolvere casi impossibili, e che qui racconta alcune delle esperienze più complesse e oscure della sua carriera, quelle durante le quali ha dovuto mantenere il sangue freddo senza mettere da parte l'empatia, rendendosi conto di quanto la natura umana sia sfaccettata e di come le difficoltà e le perversioni individuali vadano di pari passo con la sofferenza, gli abusi subiti o le buone intenzioni di partenza. Dalle carceri di massima sicurezza alle sale interrogatori della polizia, dai reparti degli ospedali psichiatrici al banco dei testimoni in tribunale, Kerry ha parlato con assassini, criminali e serial killer. E tutto per rispondere a una domanda: cosa spinge una persona a scegliere il male?
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The dark side. Viaggio nella mente criminale

16,90
Per scorgere tracce di umanità in chi ha commesso crimini bestiali è necessario conoscere gli angoli più oscuri della mente e avere il coraggio di guardarci dentro. Senza mai dimenticarsi dove si trova la luce. Questo è il lavoro di Kerry Daynes, una delle criminologhe più affermate del Regno Unito, che da venticinque anni collabora nelle indagini del governo britannico per risolvere casi impossibili, e che qui racconta alcune delle esperienze più complesse e oscure della sua carriera, quelle durante le quali ha dovuto mantenere il sangue freddo senza mettere da parte l'empatia, rendendosi conto di quanto la natura umana sia sfaccettata e di come le difficoltà e le perversioni individuali vadano di pari passo con la sofferenza, gli abusi subiti o le buone intenzioni di partenza. Dalle carceri di massima sicurezza alle sale interrogatori della polizia, dai reparti degli ospedali psichiatrici al banco dei testimoni in tribunale, Kerry ha parlato con assassini, criminali e serial killer. E tutto per rispondere a una domanda: cosa spinge una persona a scegliere il male?
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