Molto Livore per Nulla di Andrea Ferrari esce in libreria come un noir, ma è molto di più.
Con il suo investigatore privato, Andrea Brandelli, Andrea Ferrari trova un modo intelligente e affatto scontato di raccontare la città di Milano nelle sue molteplici sfaccettature.
La recensione di “Molto Livore per Nulla” di Andrea Ferrari
La trama è semplice.
Andrea Brandelli ha scelto Oslo per ricostruire la propria vita e gli affetti. E fila tutto liscio sino a ché non riceve una chiamata dalla sua vecchia Milano e, con quella, una brutta notizia. Il suo ex socio, Pippo Marchioro, è ricoverato, in gravi condizioni, a causa di un pestaggio e, dagli indizi raccolti dall’avvocatessa Speggialetti, sembra proprio che tutto possa ricondursi ad una delle indagini condotte da Pippo.
In meno di 48 ore, Brandelli prende la sua auto e parte alla volta di Milano, pronto a portare “giustizia” al suo amico, ma per nulla pronto ad affrontare una città – Milano – che tanto amava e che tanto lo ha ferito.
Da qui prende l’avvio “Molto livore per nulla”: a prima vista un buon noir, ma con un cuore profondo e vero che si mostra solo al lettore capace di affidarsi alle pagine di Ferrari.
“Molto livore per nulla” ci regala un lascia passare per il ventre di Milano, questa “grande Nespola” che ambisce ad essere una mela, ma non riesce mai a cambiare la propria anima sino in fondo. E rimane nespola. Come in un quadro di Hopper, il lettore gioca con i chiaroscuri di un paesaggio che è sia interiore, delle psicologie dei personaggi, sia della città, delle sue strade e dei suoi “interni”. Un movimento ondivago in cui i “dentro”, dei personaggi, dialogano con i “fuori” della città e delle sue strade, accompagnando le indagini di Brandelli, sballottato dai marosi degli indizi e dei ricordi.
Se si dovesse definire con due parole “Molto Livore per nulla”, si potrebbe usare tranquillamente l’espressione “interno Milano”, come in quelle pièce di altri tempi, quelle partiture filmiche in cui la luce – e l’ombra – sono metà della sceneggiatura. Un po’ Hitchcock, un po’ Bellocchio, un po’ Joel ed Ethan Coen.
E se siete pronti ad immergervi in questo intrico di arterie pulsanti e scure, in questo ventre metropolitano in cui vizi e virtù sono esposti senza nessun velo, allora “Molto livore per nulla” è il romanzo che state aspettando.
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Brandelli, nel suo buen ritiro di Oslo, sembra aver finalmente trovato la propria dimensione. Riesce a gestire la nostalgia, anche se Milano è un ricordo sempre vivo nella sua mente. Un pomeriggio d’autunno, la città e i fantasmi che la popolano tornano, prepotentemente, a bussare alla sua porta. Pippo Marchioro, il socio di Brandelli che ora gestisce da solo l’agenzia sulla Martesana, è stato picchiato brutalmente ed è in coma. A comunicarglielo è l’avvocatessa Teresa Speggialetti, che gli chiede di tornare a Milano per indagare sugli ultimi casi a cui ha lavorato Pippo. Brandelli è di nuovo nella sua città, ma Milano nel frattempo è cambiata molto. Troppo, forse. Inoltre, il distanziamento sociale imposto per limitare il contagio della “Peste” ha rarefatto ancora di più le interazioni fra gli abitanti e ha esacerbato i conflitti sociali. Una città fredda, incattivita, ma ancora bellissima, giocherà al gatto e al topo con Brandelli, riaprendo ferite che entrambi credevano cicatrizzate, e minerà alle fondamenta quanto costruito dal detective nella sua cattività norvegese.