LIBRERIA DEL GIALLO E DEL FANTASTICO
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Cucina in giallo

16,00
L'arte del cucinare è una delle cose su cui più ci si intrattiene nel quotidiano, di cui più si parla. Ed è quindi un argomento irresistibile per le antologie gialle Sellerio, le quali cercano di impigliare appunto nella vita di tutti i giorni i propri eroi. Marta e Berta Miralles, le due poliziotte e sorelle dei gialli di Alicia Giménez-Bartlett, smascherano la persona che ha ucciso per abietti motivi dentro un corso di cucina thai. È questo un caso di delitto «con cucina», cui seguono i racconti che esplorano varie combinazioni possibili di giallo e culinaria. Nella Casa di Ringhiera - il personaggio collettivo reso famoso dalle farse poliziesche di Francesco Recami - si svolge una sfida tra brodetto e cacciucco, e dietro gli odori e le finestre sul cortile condominiale precipita uno dei complotti figli del caos cosmico che sono la cifra dell'autore, tra vaudeville e teatro dell'assurdo. Gaetano Savatteri porta i suoi - Saverio Lamanna, Piccionello e Suleima - in un ristorante stellato di Màkari: c'è un litigio al telefono che semina imbrogli, e si trova il cadavere del vice chef, ma per quanto abili siano i master chef, come può una telefonata legarsi a un assassinio? «Due gamberi abbracciati nel caviale» è la portata creativa del lussuoso ristorante dove Ghezzi e Carella - la coppia poliziottesca dello scrittore Alessandro Robecchi - trovano il loro cadavere, ma può essere quel piatto un movente sufficiente per uccidere lo chef? Nel laboratorio palermitano delle due sorelle, che sembrano piombate da un'altra epoca, si prepara il «Timballo di Monsù» e la tenerissima Viola - la giornalista che vede le persone a colori, creata dalla penna di Simona Tanzini - va lì per imparare e fatalmente inciampa su un assassinio al latte di mandorla, altra specialità siciliana. Il brio immaginativo di Marco Malvaldi trascina in un legal thriller in miniatura, in cui la perfetta struttura narrativa si sposa con la spassosa futilità: un processo sulle royalties del «Maiale con gli occhi a mandorla»; i Vecchietti del Barlume assistono alle udienze e sono tutt'altro che passivi nella vicenda. Un solo ingrediente per un semplice spaghetto, l'Aglio cinese, confonde inizialmente Lorenzo La Marca (il detective per caso e per diletto del suo autore, Santo Piazzese) che insegue quello che appare essere un delitto da chimico. Il killing food del racconto con Rocco Schiavone in pratica non riesce a uccidere, è morta invece una delle cuoche che avrebbe dovuto prepararlo e i sospetti vertono sul marito: Rocco non ci crede e come sempre le cose che scopre sono più fosche, più sporche, più adatte al malanimo umano. Mescolare con la cucina il giallo non è solo uno dei modi più volentieri frequentati dal genere poliziesco, almeno da Nero Wolfe in poi. Nelle mani di questi nostri autori, dalla Giménez-Bartlett a Manzini, passando per tutti gli altri, diventa anche un mezzo per fare il verso, in modo critico o parodistico o trasversale o comico, ai master chef e dintorni.
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Cucina in giallo

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L'arte del cucinare è una delle cose su cui più ci si intrattiene nel quotidiano, di cui più si parla. Ed è quindi un argomento irresistibile per le antologie gialle Sellerio, le quali cercano di impigliare appunto nella vita di tutti i giorni i propri eroi. Marta e Berta Miralles, le due poliziotte e sorelle dei gialli di Alicia Giménez-Bartlett, smascherano la persona che ha ucciso per abietti motivi dentro un corso di cucina thai. È questo un caso di delitto «con cucina», cui seguono i racconti che esplorano varie combinazioni possibili di giallo e culinaria. Nella Casa di Ringhiera - il personaggio collettivo reso famoso dalle farse poliziesche di Francesco Recami - si svolge una sfida tra brodetto e cacciucco, e dietro gli odori e le finestre sul cortile condominiale precipita uno dei complotti figli del caos cosmico che sono la cifra dell'autore, tra vaudeville e teatro dell'assurdo. Gaetano Savatteri porta i suoi - Saverio Lamanna, Piccionello e Suleima - in un ristorante stellato di Màkari: c'è un litigio al telefono che semina imbrogli, e si trova il cadavere del vice chef, ma per quanto abili siano i master chef, come può una telefonata legarsi a un assassinio? «Due gamberi abbracciati nel caviale» è la portata creativa del lussuoso ristorante dove Ghezzi e Carella - la coppia poliziottesca dello scrittore Alessandro Robecchi - trovano il loro cadavere, ma può essere quel piatto un movente sufficiente per uccidere lo chef? Nel laboratorio palermitano delle due sorelle, che sembrano piombate da un'altra epoca, si prepara il «Timballo di Monsù» e la tenerissima Viola - la giornalista che vede le persone a colori, creata dalla penna di Simona Tanzini - va lì per imparare e fatalmente inciampa su un assassinio al latte di mandorla, altra specialità siciliana. Il brio immaginativo di Marco Malvaldi trascina in un legal thriller in miniatura, in cui la perfetta struttura narrativa si sposa con la spassosa futilità: un processo sulle royalties del «Maiale con gli occhi a mandorla»; i Vecchietti del Barlume assistono alle udienze e sono tutt'altro che passivi nella vicenda. Un solo ingrediente per un semplice spaghetto, l'Aglio cinese, confonde inizialmente Lorenzo La Marca (il detective per caso e per diletto del suo autore, Santo Piazzese) che insegue quello che appare essere un delitto da chimico. Il killing food del racconto con Rocco Schiavone in pratica non riesce a uccidere, è morta invece una delle cuoche che avrebbe dovuto prepararlo e i sospetti vertono sul marito: Rocco non ci crede e come sempre le cose che scopre sono più fosche, più sporche, più adatte al malanimo umano. Mescolare con la cucina il giallo non è solo uno dei modi più volentieri frequentati dal genere poliziesco, almeno da Nero Wolfe in poi. Nelle mani di questi nostri autori, dalla Giménez-Bartlett a Manzini, passando per tutti gli altri, diventa anche un mezzo per fare il verso, in modo critico o parodistico o trasversale o comico, ai master chef e dintorni.
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Qualcuno alla porta

12,00
Una classica giovane coppia americana di passaggio nella Vienna del dopoguerra si imbatte in un triplice omicidio.
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Qualcuno alla porta

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Una classica giovane coppia americana di passaggio nella Vienna del dopoguerra si imbatte in un triplice omicidio.
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La fine è nota

12,00
Un giallo del periodo d'oro in cui La fine è nota, ma il principio è avvolto da una fitta nube del mistero. Ormai un piccolo classico del genere di un autore di cui non si sa nulla.
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Un giallo del periodo d'oro in cui La fine è nota, ma il principio è avvolto da una fitta nube del mistero. Ormai un piccolo classico del genere di un autore di cui non si sa nulla.
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Fine di una storia

16,00
Sarah Miles e Maurice Bendrix sono stati amanti durante la guerra. Il loro è un amore clandestino, rabbioso, quasi feroce. Una passione così assoluta che perfino i terribili bombardamenti tedeschi su Londra sembravano solo un sottofondo rumoroso. Il marito di lei, Henry, alto funzionario, non aveva mai dato segno di sospettare. Poi, Sarah aveva troncato di netto la relazione, improvvisamente e senza nessuna spiegazione. Dopo quasi due anni, finita la guerra, un incontro casuale tra Bendrix e Henry Miles riaccende la gelosia dell'ex amante: Bendrix non crede che Sarah sia semplicemente tornata dal marito; «l'odio, il sospetto e l'invidia», mai realmente sopiti, lo spingono ad assoldare un investigatore privato che pedini Sarah alla ricerca di un «terzo uomo». Ma che cosa ha capito Bendrix, che di mestiere scrive romanzi, ricordando il passato amore e inseguendo, attraverso i resoconti del detective, il presente di Sarah? Che cosa ha capito della «fine di una storia»? Il diario di Sarah svela un'altra verità. Non è solo l'ossessione, a volte selvaggia e spietata, di Bendrix che ha distorto la sua versione dei fatti. È anche che la storia di Sarah ha intrapreso una strada incommensurabile dove si incontra l'assurdo della fede, come desiderio di non essere soli nel deserto. Pubblicato nel 1951, Fine di una storia - da Greene definito il suo «Great Sex Novel» - è un romanzo lancinante, il resoconto di un amore carnale, immenso, crudele, in cui, per via dell'enormità della guerra, irrompe il divino. Ma è un divino diviso, tragicamente incerto, rischioso. Alla fine di questa storia, al di là dello scandalo e delle censure, resta - ha scritto Scott Spencer nella sua introduzione - la «convinzione che anche nelle circostanze più squallide ci sia qualcosa che non si vede, qualcosa che resiste e nobilita».
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Fine di una storia

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Sarah Miles e Maurice Bendrix sono stati amanti durante la guerra. Il loro è un amore clandestino, rabbioso, quasi feroce. Una passione così assoluta che perfino i terribili bombardamenti tedeschi su Londra sembravano solo un sottofondo rumoroso. Il marito di lei, Henry, alto funzionario, non aveva mai dato segno di sospettare. Poi, Sarah aveva troncato di netto la relazione, improvvisamente e senza nessuna spiegazione. Dopo quasi due anni, finita la guerra, un incontro casuale tra Bendrix e Henry Miles riaccende la gelosia dell'ex amante: Bendrix non crede che Sarah sia semplicemente tornata dal marito; «l'odio, il sospetto e l'invidia», mai realmente sopiti, lo spingono ad assoldare un investigatore privato che pedini Sarah alla ricerca di un «terzo uomo». Ma che cosa ha capito Bendrix, che di mestiere scrive romanzi, ricordando il passato amore e inseguendo, attraverso i resoconti del detective, il presente di Sarah? Che cosa ha capito della «fine di una storia»? Il diario di Sarah svela un'altra verità. Non è solo l'ossessione, a volte selvaggia e spietata, di Bendrix che ha distorto la sua versione dei fatti. È anche che la storia di Sarah ha intrapreso una strada incommensurabile dove si incontra l'assurdo della fede, come desiderio di non essere soli nel deserto. Pubblicato nel 1951, Fine di una storia - da Greene definito il suo «Great Sex Novel» - è un romanzo lancinante, il resoconto di un amore carnale, immenso, crudele, in cui, per via dell'enormità della guerra, irrompe il divino. Ma è un divino diviso, tragicamente incerto, rischioso. Alla fine di questa storia, al di là dello scandalo e delle censure, resta - ha scritto Scott Spencer nella sua introduzione - la «convinzione che anche nelle circostanze più squallide ci sia qualcosa che non si vede, qualcosa che resiste e nobilita».
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Le transizioni

16,00
Una nuova sorprendente voce nella letteratura contemporanea internazionale. A 28 anni Pajtim Statovci è l’autore di uno dei romanzi europei più celebrati degli ultimi anni. «Questa è l’opera di un romanziere già maturo, in una tradizione che va da Camus a Kafka, da Kadare a Kristeva. Di una bellezza brutale» - The Guardian «La scrittura di Statovci è di un lirismo toccante, capace di comprimere in una sola frase rabbia e desiderio, la malinconia e il dettaglio più minuto» - The New Yorker Bujar è un uomo che sa diventare una donna: può essere una meravigliosa ragazza di Sarajevo che attrae uomini di ogni età o un affascinante giovane spagnolo che fa innamorare ragazze alle quali non sa concedersi. Tra Orlando di Virginia Woolf e Tom Ripley di Patricia Highsmith, Bujar crea continuamente se stesso e la propria storia perché può scegliere chi è, la sua nazionalità, il sesso, semplicemente aprendo la bocca e parlando, nel racconto di una vita trascorsa in viaggio e in fuga, dall’Albania all’America, passando per Roma, Madrid, Berlino, Helsinki. Bujar narra la sua storia in prima persona, a partire dall’adolescenza poverissima a Tirana. La morte del padre, il dolore della madre, la scomparsa della sorella, e poi l’amicizia con Agim, coetaneo e vicino di casa, rifiutato dalla famiglia per il suo orientamento sessuale. Entrambi fuori luogo in un paese devastato, sempre più dipendenti l’uno dall’altro, decidono per la fuga, a caccia di un futuro che gli appartenga. Vivono per le strade di Tirana, poi sulla costa, fino al viaggio da clandestini in Italia attraverso l’Adriatico. Dall’isolamento, l’umiliazione, la vergogna, nascerà un nuovo Bujar. Emozionante riflessione letteraria sull’identità condotta con una sensibilità innovativa e spiazzante, il romanzo segna il talento di un autore giovanissimo, capace di raccontare l’appartenenza e l’esclusione, l’amore e la crudeltà in un libro «che come una potente fenice sorge dalle ceneri del secolo precedente»
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Le transizioni

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Una nuova sorprendente voce nella letteratura contemporanea internazionale. A 28 anni Pajtim Statovci è l’autore di uno dei romanzi europei più celebrati degli ultimi anni. «Questa è l’opera di un romanziere già maturo, in una tradizione che va da Camus a Kafka, da Kadare a Kristeva. Di una bellezza brutale» - The Guardian «La scrittura di Statovci è di un lirismo toccante, capace di comprimere in una sola frase rabbia e desiderio, la malinconia e il dettaglio più minuto» - The New Yorker Bujar è un uomo che sa diventare una donna: può essere una meravigliosa ragazza di Sarajevo che attrae uomini di ogni età o un affascinante giovane spagnolo che fa innamorare ragazze alle quali non sa concedersi. Tra Orlando di Virginia Woolf e Tom Ripley di Patricia Highsmith, Bujar crea continuamente se stesso e la propria storia perché può scegliere chi è, la sua nazionalità, il sesso, semplicemente aprendo la bocca e parlando, nel racconto di una vita trascorsa in viaggio e in fuga, dall’Albania all’America, passando per Roma, Madrid, Berlino, Helsinki. Bujar narra la sua storia in prima persona, a partire dall’adolescenza poverissima a Tirana. La morte del padre, il dolore della madre, la scomparsa della sorella, e poi l’amicizia con Agim, coetaneo e vicino di casa, rifiutato dalla famiglia per il suo orientamento sessuale. Entrambi fuori luogo in un paese devastato, sempre più dipendenti l’uno dall’altro, decidono per la fuga, a caccia di un futuro che gli appartenga. Vivono per le strade di Tirana, poi sulla costa, fino al viaggio da clandestini in Italia attraverso l’Adriatico. Dall’isolamento, l’umiliazione, la vergogna, nascerà un nuovo Bujar. Emozionante riflessione letteraria sull’identità condotta con una sensibilità innovativa e spiazzante, il romanzo segna il talento di un autore giovanissimo, capace di raccontare l’appartenenza e l’esclusione, l’amore e la crudeltà in un libro «che come una potente fenice sorge dalle ceneri del secolo precedente»
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Passaggi in Siria

16,00
«Il libro di Samar Yazbek rientra in quella letteratura che, da Varlam Šalamov e Primo Levi cerca non tanto di raccontare l’indicibile, ma di strappare qualcosa al nulla, di far emergere dai buchi neri della Storia una traccia di umanità, di captare nel cuore della notte una piccola luce simile a quella emessa dagli astri morti, dalle lucciole o dalle anime erranti» - Christophe Boltanski
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Passaggi in Siria

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«Il libro di Samar Yazbek rientra in quella letteratura che, da Varlam Šalamov e Primo Levi cerca non tanto di raccontare l’indicibile, ma di strappare qualcosa al nulla, di far emergere dai buchi neri della Storia una traccia di umanità, di captare nel cuore della notte una piccola luce simile a quella emessa dagli astri morti, dalle lucciole o dalle anime erranti» - Christophe Boltanski
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Sei casi per Lorenzo La Marca

15,00
L'affermazione dello scrittore Santo Piazzese è legata al suo personaggio più noto, Lorenzo La Marca, ma soprattutto alla vera protagonista della sua opera letteraria, la città di Palermo, presa nel suo momento glorioso, gli anni in cui tornava a essere appunto una città e non più solo una grande disgregazione. Anche il protagonista umano, il flâneur Lorenzo La Marca, è un palermitano letterariamente nuovo, maestro di autoironia ma a suo modo appassionato, «un sentimentale disincantato» lo definisce il suo creatore. Lorenzo La Marca domina questi sei racconti. Una marca di whisky che porta un messaggio dal passato. Lo sporco segreto di una coppia d'innocenti turisti, per giunta scienziati come La Marca. Una biscia rivelatrice in un torrido luglio. Una varietà di olive che indica il vero assassino. Un contrabbandiere di buon cuore che si ricorda di lui. La cuoca mafiosa beffata. Sono misteri che hanno qualcosa di caratteristico: l'umorismo intelligente della invenzione narrati va, unito alla capacità di evocare atmosfere vere, ma vere come lo sono i sogni. Affiancano, oltre a una folla di azzeccati caratteristi, l'anatomopatologa francosicula Michelle Laurent e il commissario Vittorio Spotorno, che sono le creature vive del mondo lamarchiano. Un mondo diventato per la verità più malinconico per il tempo passato e le delusioni.
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Sei casi per Lorenzo La Marca

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L'affermazione dello scrittore Santo Piazzese è legata al suo personaggio più noto, Lorenzo La Marca, ma soprattutto alla vera protagonista della sua opera letteraria, la città di Palermo, presa nel suo momento glorioso, gli anni in cui tornava a essere appunto una città e non più solo una grande disgregazione. Anche il protagonista umano, il flâneur Lorenzo La Marca, è un palermitano letterariamente nuovo, maestro di autoironia ma a suo modo appassionato, «un sentimentale disincantato» lo definisce il suo creatore. Lorenzo La Marca domina questi sei racconti. Una marca di whisky che porta un messaggio dal passato. Lo sporco segreto di una coppia d'innocenti turisti, per giunta scienziati come La Marca. Una biscia rivelatrice in un torrido luglio. Una varietà di olive che indica il vero assassino. Un contrabbandiere di buon cuore che si ricorda di lui. La cuoca mafiosa beffata. Sono misteri che hanno qualcosa di caratteristico: l'umorismo intelligente della invenzione narrati va, unito alla capacità di evocare atmosfere vere, ma vere come lo sono i sogni. Affiancano, oltre a una folla di azzeccati caratteristi, l'anatomopatologa francosicula Michelle Laurent e il commissario Vittorio Spotorno, che sono le creature vive del mondo lamarchiano. Un mondo diventato per la verità più malinconico per il tempo passato e le delusioni.
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La finestra sui tetti e altri racconti con Martin Bora

16,00
La saga in giallo dedicata al tragico, malinconico ufficiale della Wehrmacht ha un carattere romantico che nei racconti viene accentuato ancor più che nei romanzi. Proprio perché centrati sull'eroe solitario sconfitto in partenza. Nel 1941, in un villaggio ucraino abbandonato dai sovietici, von Bora incontra Vladimir Propp, lo scienziato leningradese che scoprì lo schema universale della fiaba popolare; con un tale esperto di folklore al fianco, inizia a investigare sull'omicidio di una strega-prostituta. Anche negli altri racconti, è come se l'amletico detective cercasse nella più attenuata assurdità del delitto un riparo dalla più grande assurdità della guerra; ad aiutarlo, in questa fuga in una norma paradossale, è come se ci fosse un secondo personaggio, un quasi nemico-amico, volontario o meno. A Praga nel 1942, mentre Heydrich pianifica la soluzione finale per gli ebrei cechi, sono due vecchietti nel cortile sotto alla finestra che attraggono la sua attenzione durante un'indagine su un collaborazionista assassinato. Il pensiero della moglie Dikta è il dolce veleno che lo toglie dal giaciglio d'acciaio di Stalingrado. Il vecchio maestro che denuncia il figlio ai nazisti, in un villaggio della Russia occupata, riporta Martin a una vendetta familiare in quelle terre di sangue. Le altre storie della seconda parte hanno luogo sotto i cieli più luminosi dell'Italia occupata. Un delitto passionale nel veronese del '43 che coinvolge un prete, le guardie di Salò, una vedova. Un gioielliere a Littoria ucciso per una spilla dal nome allusivo, il nodo d'amore. Un vecchio su un treno, in Toscana nel 1944, che racconta dell'omicidio di due amanti. Una specie di faida familiare sull'Appennino e l'astuzia di un partigiano. L'opera narrativa di Ben Pastor è la biografia ideale di un uomo tormentato dal delitto e dalla guerra, in cui è incarnato il dramma feroce di una parte degli ufficiali della Wehrmacht sotto Hitler. La storia di un Io diviso: un uomo giusto dentro una divisa sbagliata, un investigatore angosciato dall'insensatezza del dovere in mezzo ai milioni di assassinati dalla guerra.
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La finestra sui tetti e altri racconti con Martin Bora

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La saga in giallo dedicata al tragico, malinconico ufficiale della Wehrmacht ha un carattere romantico che nei racconti viene accentuato ancor più che nei romanzi. Proprio perché centrati sull'eroe solitario sconfitto in partenza. Nel 1941, in un villaggio ucraino abbandonato dai sovietici, von Bora incontra Vladimir Propp, lo scienziato leningradese che scoprì lo schema universale della fiaba popolare; con un tale esperto di folklore al fianco, inizia a investigare sull'omicidio di una strega-prostituta. Anche negli altri racconti, è come se l'amletico detective cercasse nella più attenuata assurdità del delitto un riparo dalla più grande assurdità della guerra; ad aiutarlo, in questa fuga in una norma paradossale, è come se ci fosse un secondo personaggio, un quasi nemico-amico, volontario o meno. A Praga nel 1942, mentre Heydrich pianifica la soluzione finale per gli ebrei cechi, sono due vecchietti nel cortile sotto alla finestra che attraggono la sua attenzione durante un'indagine su un collaborazionista assassinato. Il pensiero della moglie Dikta è il dolce veleno che lo toglie dal giaciglio d'acciaio di Stalingrado. Il vecchio maestro che denuncia il figlio ai nazisti, in un villaggio della Russia occupata, riporta Martin a una vendetta familiare in quelle terre di sangue. Le altre storie della seconda parte hanno luogo sotto i cieli più luminosi dell'Italia occupata. Un delitto passionale nel veronese del '43 che coinvolge un prete, le guardie di Salò, una vedova. Un gioielliere a Littoria ucciso per una spilla dal nome allusivo, il nodo d'amore. Un vecchio su un treno, in Toscana nel 1944, che racconta dell'omicidio di due amanti. Una specie di faida familiare sull'Appennino e l'astuzia di un partigiano. L'opera narrativa di Ben Pastor è la biografia ideale di un uomo tormentato dal delitto e dalla guerra, in cui è incarnato il dramma feroce di una parte degli ufficiali della Wehrmacht sotto Hitler. La storia di un Io diviso: un uomo giusto dentro una divisa sbagliata, un investigatore angosciato dall'insensatezza del dovere in mezzo ai milioni di assassinati dalla guerra.
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Pesci piccoli

16,00
Capita a Carlo Monterossi di trovarsi impelagato in faccende diverse, per via della sua doppia vita. Da un lato ha fatto i soldi come autore televisivo con un programma senza pudore e dalla lacrima facile, Crazy Love. Dall'altro, quasi per emendarsi, si adopera per risolvere casi umano-criminali, insieme agli amici detective della Sistemi Integrati, Oscar Falcone e Agatina Cirrielli, in una Milano faticosa e ostile. Flora De Pisis lo manda a Zelo Surrigone, poco lontano dalla metropoli: un crocifisso si è messo a luccicare e un bel santone, don Vincenzo, un ex prete, predica di miracoli e raccoglie donazioni, un'occasione imperdibile per Crazy Love. Negli stessi giorni, un manager della Italiana Grandi Opere, un impero industriale delle costruzioni nel mondo, chiede aiuto alla Sistemi Integrati: l'azienda ha subìto uno strano furto, soldi, documenti, una pennetta usb. Il tutto mentre i poliziotti Ghezzi e Carella risolvono mugugnando una manciata di piccoli casi, storie ordinarie di disperazione e malavita di sopravvivenza, una caccia a tanti pesci piccoli, perché «servono un sacco di perdenti per tenere vivo il mito della città vincente». La vita complicata del detective dilettante Carlo Monterossi - privilegiato sull'orlo del cinismo e al tempo stesso disincantato Robin Hood -, permette al suo creatore Alessandro Robecchi di scrivere noir a forte impianto sociale, che fanno molto pensare a Scerbanenco: crudo realismo unito a una solidarietà che si incarna in personaggi teneri e vivissimi. Come la Teresa di questo romanzo, la piccola donna delle pulizie che non ha mai pensato di poter cambiare la propria vita. E proprio la sua limpida carica di verità attrae Carlo oltre la semplice simpatia, contribuendo a scompigliargli l'esistenza. Un sapore di situazioni reali accentuato dal modo di narrare di Robecchi che è come se stesse a fianco del lettore a mostrargli e illustrargli i fatti che stanno accadendo di fronte a loro.
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Capita a Carlo Monterossi di trovarsi impelagato in faccende diverse, per via della sua doppia vita. Da un lato ha fatto i soldi come autore televisivo con un programma senza pudore e dalla lacrima facile, Crazy Love. Dall'altro, quasi per emendarsi, si adopera per risolvere casi umano-criminali, insieme agli amici detective della Sistemi Integrati, Oscar Falcone e Agatina Cirrielli, in una Milano faticosa e ostile. Flora De Pisis lo manda a Zelo Surrigone, poco lontano dalla metropoli: un crocifisso si è messo a luccicare e un bel santone, don Vincenzo, un ex prete, predica di miracoli e raccoglie donazioni, un'occasione imperdibile per Crazy Love. Negli stessi giorni, un manager della Italiana Grandi Opere, un impero industriale delle costruzioni nel mondo, chiede aiuto alla Sistemi Integrati: l'azienda ha subìto uno strano furto, soldi, documenti, una pennetta usb. Il tutto mentre i poliziotti Ghezzi e Carella risolvono mugugnando una manciata di piccoli casi, storie ordinarie di disperazione e malavita di sopravvivenza, una caccia a tanti pesci piccoli, perché «servono un sacco di perdenti per tenere vivo il mito della città vincente». La vita complicata del detective dilettante Carlo Monterossi - privilegiato sull'orlo del cinismo e al tempo stesso disincantato Robin Hood -, permette al suo creatore Alessandro Robecchi di scrivere noir a forte impianto sociale, che fanno molto pensare a Scerbanenco: crudo realismo unito a una solidarietà che si incarna in personaggi teneri e vivissimi. Come la Teresa di questo romanzo, la piccola donna delle pulizie che non ha mai pensato di poter cambiare la propria vita. E proprio la sua limpida carica di verità attrae Carlo oltre la semplice simpatia, contribuendo a scompigliargli l'esistenza. Un sapore di situazioni reali accentuato dal modo di narrare di Robecchi che è come se stesse a fianco del lettore a mostrargli e illustrargli i fatti che stanno accadendo di fronte a loro.
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Il giudice Surra

14,00
Per la prima volta insieme tre brevi gialli ambientati in Sicilia, tre storie da tempo introvabili, che confermano lo straordinario talento inventivo e di narratore di Andrea Camilleri. Delitti, intrighi e sospetti, e un carosello di personaggi memorabili. Le storie di Camilleri sono sempre seducenti, anche quando tralasciano la fascinazione sonora del vigatese per scavare dentro il rimestìo, sommesso ed elusivo, di un italiano parlato tra torsioni e tocchi dialettali: come accade nei tre racconti di questo volume. Conta, nell'un caso e nell'altro, la straordinaria esattezza della scrittura dell'autore. Nella terna, che qui fa libro, trovano assetto componimenti di diversa configurazione narrativa, di uguale qualità inventiva, e di godibilissima lettura. Due dei racconti sono datati 2005. L'altro è del 2011. Ora, dopo la dispersione, entrano nelle partizioni e nell'arcata di un libro unitario, collaborando vicendevolmente con i legami associativi suggeriti dagli ingegnosi giochi di quinte della regia di Camilleri. Sintomatico è il racconto Troppi equivoci con la sua costruzione severamente cinematografica. Sullo schermo delle pagine scorrono le didascalie come in un film d'antan. E la narrazione intreccia due trame parallele di contrapposta colorazione: una luminosa; l'altra torbidamente fosca, marcata dal corsivo. Bruno Costa, «tecnico della società dei telefoni», è portato da una «curiosità innata» a verificare le sue «supposizioni» partendo «da minimi indizi». È un dilettante dell'investigazione. Un futile scherzo telefonico, con conseguenti combinazioni di equivoci, fa precipitare lui e la donna di cui è innamorato nelle spire della trama oscura. La donna viene orrendamente uccisa. L'esercizio della «curiosità» consente a Bruno di venire a capo del giallo prima dello scrupoloso commissario Chimenti. Un monile di onerosi ricordi dà il titolo a Il medaglione. Il maresciallo Antonio Brancato comanda in Sicilia la Stazione dei Carabinieri di un paesino di montagna. Più che altro è un consulente per famiglie, un paciere. Può capitargli di doversi scontrare con un pericoloso latitante di passaggio. Ma lui sa come regolarsi. Risolve tutto con una furbata teatrale (in stile Montalbano). Ed è con una stupefacente furberia che salva dall'attonita disperazione e dalla angosciata autoreclusione un vedovo che, nella cassa del medaglione regalato alla moglie, al posto della sua fotografia ha trovato il ritratto di uno sconosciuto. Ambientato a Montelusa, nell'anno 1862, con propaggini nel biennio successivo, è Il giudice Surra. Il protagonista del racconto storico (un piemontese sceso in terra di Sicilia) è armato di un candore che disorienta la fratellanza, o mafia, e lo rende enigmatico, alieno all'intero paese; gli fa ignorare minacce, intimidazioni, e persino un attentato. È una corazza fantastica, l'in-nocenza, una sfida, sostenuta com'è da un'integrità morale e da un combattivo senso della giustizia che consentono al giudice di rintuzzare e umiliare la mafia, consegnandola all'irrisione. Salvatore Silvano Nigro
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Il giudice Surra

14,00
Per la prima volta insieme tre brevi gialli ambientati in Sicilia, tre storie da tempo introvabili, che confermano lo straordinario talento inventivo e di narratore di Andrea Camilleri. Delitti, intrighi e sospetti, e un carosello di personaggi memorabili. Le storie di Camilleri sono sempre seducenti, anche quando tralasciano la fascinazione sonora del vigatese per scavare dentro il rimestìo, sommesso ed elusivo, di un italiano parlato tra torsioni e tocchi dialettali: come accade nei tre racconti di questo volume. Conta, nell'un caso e nell'altro, la straordinaria esattezza della scrittura dell'autore. Nella terna, che qui fa libro, trovano assetto componimenti di diversa configurazione narrativa, di uguale qualità inventiva, e di godibilissima lettura. Due dei racconti sono datati 2005. L'altro è del 2011. Ora, dopo la dispersione, entrano nelle partizioni e nell'arcata di un libro unitario, collaborando vicendevolmente con i legami associativi suggeriti dagli ingegnosi giochi di quinte della regia di Camilleri. Sintomatico è il racconto Troppi equivoci con la sua costruzione severamente cinematografica. Sullo schermo delle pagine scorrono le didascalie come in un film d'antan. E la narrazione intreccia due trame parallele di contrapposta colorazione: una luminosa; l'altra torbidamente fosca, marcata dal corsivo. Bruno Costa, «tecnico della società dei telefoni», è portato da una «curiosità innata» a verificare le sue «supposizioni» partendo «da minimi indizi». È un dilettante dell'investigazione. Un futile scherzo telefonico, con conseguenti combinazioni di equivoci, fa precipitare lui e la donna di cui è innamorato nelle spire della trama oscura. La donna viene orrendamente uccisa. L'esercizio della «curiosità» consente a Bruno di venire a capo del giallo prima dello scrupoloso commissario Chimenti. Un monile di onerosi ricordi dà il titolo a Il medaglione. Il maresciallo Antonio Brancato comanda in Sicilia la Stazione dei Carabinieri di un paesino di montagna. Più che altro è un consulente per famiglie, un paciere. Può capitargli di doversi scontrare con un pericoloso latitante di passaggio. Ma lui sa come regolarsi. Risolve tutto con una furbata teatrale (in stile Montalbano). Ed è con una stupefacente furberia che salva dall'attonita disperazione e dalla angosciata autoreclusione un vedovo che, nella cassa del medaglione regalato alla moglie, al posto della sua fotografia ha trovato il ritratto di uno sconosciuto. Ambientato a Montelusa, nell'anno 1862, con propaggini nel biennio successivo, è Il giudice Surra. Il protagonista del racconto storico (un piemontese sceso in terra di Sicilia) è armato di un candore che disorienta la fratellanza, o mafia, e lo rende enigmatico, alieno all'intero paese; gli fa ignorare minacce, intimidazioni, e persino un attentato. È una corazza fantastica, l'in-nocenza, una sfida, sostenuta com'è da un'integrità morale e da un combattivo senso della giustizia che consentono al giudice di rintuzzare e umiliare la mafia, consegnandola all'irrisione. Salvatore Silvano Nigro
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Torno presto

14,00
Il romanzo presenta la stessa storia di un omicidio per motivi sessuali, vissuta e narrata dai punti di vista differenti dei tre soggetti coinvolti nella vicenda: la vittima, l'assassino e il mondo della gente che guarda. Olwen, ragazza della provincia gallese, racconta i suoi primi amori, il lavoro in città, la vita che progressivamente la prende, sino all'incontro col delitto; sullo sfondo la guerra mondiale, come palestra di buoni sentimenti. L'assassino più che raccontare introduce alla sua psicologia superomistica e sprezzante, a un dongiovannismo intriso di disprezzo per la donna, che è solo sete di dominio sull'altro. E infine il racconto dell'inchiesta di polizia, occhio del mondo che cerca le ragioni di incontro di vie umane tanto divergenti.
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Torno presto

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Il romanzo presenta la stessa storia di un omicidio per motivi sessuali, vissuta e narrata dai punti di vista differenti dei tre soggetti coinvolti nella vicenda: la vittima, l'assassino e il mondo della gente che guarda. Olwen, ragazza della provincia gallese, racconta i suoi primi amori, il lavoro in città, la vita che progressivamente la prende, sino all'incontro col delitto; sullo sfondo la guerra mondiale, come palestra di buoni sentimenti. L'assassino più che raccontare introduce alla sua psicologia superomistica e sprezzante, a un dongiovannismo intriso di disprezzo per la donna, che è solo sete di dominio sull'altro. E infine il racconto dell'inchiesta di polizia, occhio del mondo che cerca le ragioni di incontro di vie umane tanto divergenti.
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Alfabeto dei piccoli armeni

14,00
In trentasei racconti, tanti quante le lettere dell'alfabeto armeno, le tramandate testimonianze e le storie di bambini e bambine che sono sopravvissuti al genocidio armeno per mano ottomana, tra il 1915 e il 1923. Il toccante libro di Sonya Orfalian, apolide, rifugiata e figlia della diaspora, è destinato a diventare un classico, per il suo coraggio, per la sfrontata volontà di mostrare tutto, anche un universo di oltraggio e prevaricazione che dovrebbe appartenere solo al mondo della fantasia più nera e sfrenata. «Negli anni della mia infanzia sentivo che c'era un segreto, nella mia famiglia. Qualcosa che non poteva essere detto». Era il segreto celato in ciascuna delle famiglie dei sopravvissuti al genocidio degli armeni, compiuto nei territori dell'Impero ottomano tra il 1915 e il 1922. Le storie dei piccoli scampati allo sterminio: ciò che avevano subito, ciò a cui avevano assistito, come erano sopravvissuti, chi furono gli aguzzini, chi li aiutò a salvarsi, quale capriccio del caso li sottrasse alla morte. Nelle case dei discendenti, a causa del logorio del tempo e della diaspora, echeggiava solo un'eco lontana di tali racconti. E queste voci di ultima testimonianza, «ricordi, frammenti, sussurri» di bimbi e ragazzini indifesi, l'autrice ha raccolto nel corso del tempo da famigliari e conoscenti per tratteggiare nel modo più autentico il disegno di una tragedia collettiva. Quello che più risalta è che si tratta di bambini in marcia, che guardano e subiscono indicibili sofferenze lungo un cammino interminabile, perché lo specifico di quel massacro fu che esso si compì soprattutto attraverso terribili «marce della morte» (lezione utile, come dicono gli storici, per i successivi sterminatori del Novecento). E sono i figli di ogni classe sociale e ogni mestiere: dai professionisti delle città, dagli intellettuali cosmopoliti, ai poveri contadini delle campagne d'Anatolia. Dalle loro flebili voci, emergono anche i caratteri: gli audaci, gli avviliti, i vinti, gli speranzosi.
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Alfabeto dei piccoli armeni

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In trentasei racconti, tanti quante le lettere dell'alfabeto armeno, le tramandate testimonianze e le storie di bambini e bambine che sono sopravvissuti al genocidio armeno per mano ottomana, tra il 1915 e il 1923. Il toccante libro di Sonya Orfalian, apolide, rifugiata e figlia della diaspora, è destinato a diventare un classico, per il suo coraggio, per la sfrontata volontà di mostrare tutto, anche un universo di oltraggio e prevaricazione che dovrebbe appartenere solo al mondo della fantasia più nera e sfrenata. «Negli anni della mia infanzia sentivo che c'era un segreto, nella mia famiglia. Qualcosa che non poteva essere detto». Era il segreto celato in ciascuna delle famiglie dei sopravvissuti al genocidio degli armeni, compiuto nei territori dell'Impero ottomano tra il 1915 e il 1922. Le storie dei piccoli scampati allo sterminio: ciò che avevano subito, ciò a cui avevano assistito, come erano sopravvissuti, chi furono gli aguzzini, chi li aiutò a salvarsi, quale capriccio del caso li sottrasse alla morte. Nelle case dei discendenti, a causa del logorio del tempo e della diaspora, echeggiava solo un'eco lontana di tali racconti. E queste voci di ultima testimonianza, «ricordi, frammenti, sussurri» di bimbi e ragazzini indifesi, l'autrice ha raccolto nel corso del tempo da famigliari e conoscenti per tratteggiare nel modo più autentico il disegno di una tragedia collettiva. Quello che più risalta è che si tratta di bambini in marcia, che guardano e subiscono indicibili sofferenze lungo un cammino interminabile, perché lo specifico di quel massacro fu che esso si compì soprattutto attraverso terribili «marce della morte» (lezione utile, come dicono gli storici, per i successivi sterminatori del Novecento). E sono i figli di ogni classe sociale e ogni mestiere: dai professionisti delle città, dagli intellettuali cosmopoliti, ai poveri contadini delle campagne d'Anatolia. Dalle loro flebili voci, emergono anche i caratteri: gli audaci, gli avviliti, i vinti, gli speranzosi.
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La gatta ha visto tutto

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Miss Rachel Murdock, un'anziana signora, è l'investigatrice dilettante, coadiuvata dal burbero tenente Mayhew. Una mattina di tranquilla routine, riceve una chiamata dalla nipote Lily. Questa le chiede di venirle in aiuto nella città dove abita, senza dire il perché. La zia parte subito. Porta con sé la gatta Samantha, felino accudito con particolare cura perché ha ereditato la fortuna della bizzarra zia Agatha. A Miss Rachel la nipote non piace troppo, la classica mela caduta lontana dall'albero, priva dell'eleganza e dell'intelligenza di famiglia. Appena arrivata viene accolta dalla nipote con vaghezze e frasi futili, la pensione in cui vive si presenta molto misera e con una atmosfera vagamente sinistra, gli altri inquilini sembrano misteriosi, se non minacciosi. Così tutto precipita senza apparente motivo. Lily viene improvvisamente uccisa, nella stessa stanza in cui anche Rachel, avvelenata e priva di coscienza, rischia di morire, sotto gli occhi della gatta. Nella scena insanguinata entra il tenente Mayhew, quanto di più lontano si possa immaginare dalla quieta raffinatezza di Rachel. La coppia così assortita non potrebbe mai raggiungere l'obiettivo senza decifrare i messaggi della gatta Samantha. «C'era qualcosa di strano... di strano e di diverso nella gatta». Dolores Hitchens, pioniera della domestic suspense, si rivela abilissima nel trascinare il lettore nella sua trama. Una serie di novità interessanti fa risaltare il suo modo di narrare: gli indizi, tipicamente disseminati ovunque, sono mimetizzati nella agile naturalezza degli avvenimenti; due voci (dei protagonisti) fuori campo commentano i fatti ex post. Infine il colpo di genio della gatta, enigmatica testimone, che rende indimenticabile questo romanzo, il primo di una serie di dodici libri. Introduzione di Joyce Carol Oates.
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La gatta ha visto tutto

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Miss Rachel Murdock, un'anziana signora, è l'investigatrice dilettante, coadiuvata dal burbero tenente Mayhew. Una mattina di tranquilla routine, riceve una chiamata dalla nipote Lily. Questa le chiede di venirle in aiuto nella città dove abita, senza dire il perché. La zia parte subito. Porta con sé la gatta Samantha, felino accudito con particolare cura perché ha ereditato la fortuna della bizzarra zia Agatha. A Miss Rachel la nipote non piace troppo, la classica mela caduta lontana dall'albero, priva dell'eleganza e dell'intelligenza di famiglia. Appena arrivata viene accolta dalla nipote con vaghezze e frasi futili, la pensione in cui vive si presenta molto misera e con una atmosfera vagamente sinistra, gli altri inquilini sembrano misteriosi, se non minacciosi. Così tutto precipita senza apparente motivo. Lily viene improvvisamente uccisa, nella stessa stanza in cui anche Rachel, avvelenata e priva di coscienza, rischia di morire, sotto gli occhi della gatta. Nella scena insanguinata entra il tenente Mayhew, quanto di più lontano si possa immaginare dalla quieta raffinatezza di Rachel. La coppia così assortita non potrebbe mai raggiungere l'obiettivo senza decifrare i messaggi della gatta Samantha. «C'era qualcosa di strano... di strano e di diverso nella gatta». Dolores Hitchens, pioniera della domestic suspense, si rivela abilissima nel trascinare il lettore nella sua trama. Una serie di novità interessanti fa risaltare il suo modo di narrare: gli indizi, tipicamente disseminati ovunque, sono mimetizzati nella agile naturalezza degli avvenimenti; due voci (dei protagonisti) fuori campo commentano i fatti ex post. Infine il colpo di genio della gatta, enigmatica testimone, che rende indimenticabile questo romanzo, il primo di una serie di dodici libri. Introduzione di Joyce Carol Oates.
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L’ultimo arrivato

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colpo grosso ai frigoriferi milanesi

15,00
Il Solista del mitra prepara un colpo grosso, l'obiettivo sono i Frigoriferi Milanesi, l'intricato sistema di caveau a prova di furto, l'antica Fabbrica del Ghiaccio. Complici sono Il Piero, Faccia d'Angelo, La Miciona, La Piccerella, Il René, La Mantide. Il malloppo è qualcosa di estremamente prezioso, di losca provenienza, in ballo c'è anche una vendetta. Nel frattempo alla Casa di ringhiera la vita continua al solito, litigiosa, pettegola e malignetta. La falsa invalida, signorina Mattei-Ferri, ha deciso di cambiare atteggiamento e rendersi più amabile con i vicini, soprattutto i nuovi; il pensionato Amedeo Consonni si dedica al nipotino Enrico, dopo aver superato una profonda depressione; la professoressa Angela, dal buen retiro di Camogli, non perde di vista affetti e affari; il vecchio Luis De Angelis continua ad accudire paranoicamente la sua automobile, adesso una Maserati. E così via, tutti ostili tra loro, estranei, eppure legati gli uni agli altri come nella Finestra sul cortile. Però ci sono delle novità. Un gruppo allegro di studentesse di Fashion, venute dalla provincia più opulenta ad addentare la metropoli; e due nuove coppie di ricchi inquilini, a testimoniare che anche la Casa di ringhiera si gentrifica. E proprio da Camilla, la bella amante dell'architetto Sommariva, si viene a sapere qualcosa di Yutta, la venere tedesca che, dopo aver ammaliato tutti, era sparita con una fortuna e in barba al pensionato Consonni. La notizia fa ripiombare la Casa di ringhiera in una scalcagnata ed esagerata avventura. In questa nuova puntata della serie fortunata in cui un intero caseggiato assume personalità entro una cornice comico criminale, mosso da un'animazione farsesca, l'autore Francesco Recami sollecita il lettore a riflettere su cosa sia in realtà l'intrattenimento letterario. Un tema drammatico e surreale entra nella scena: che tipo di vita è quella dei personaggi di un romanzo?
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colpo grosso ai frigoriferi milanesi

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Il Solista del mitra prepara un colpo grosso, l'obiettivo sono i Frigoriferi Milanesi, l'intricato sistema di caveau a prova di furto, l'antica Fabbrica del Ghiaccio. Complici sono Il Piero, Faccia d'Angelo, La Miciona, La Piccerella, Il René, La Mantide. Il malloppo è qualcosa di estremamente prezioso, di losca provenienza, in ballo c'è anche una vendetta. Nel frattempo alla Casa di ringhiera la vita continua al solito, litigiosa, pettegola e malignetta. La falsa invalida, signorina Mattei-Ferri, ha deciso di cambiare atteggiamento e rendersi più amabile con i vicini, soprattutto i nuovi; il pensionato Amedeo Consonni si dedica al nipotino Enrico, dopo aver superato una profonda depressione; la professoressa Angela, dal buen retiro di Camogli, non perde di vista affetti e affari; il vecchio Luis De Angelis continua ad accudire paranoicamente la sua automobile, adesso una Maserati. E così via, tutti ostili tra loro, estranei, eppure legati gli uni agli altri come nella Finestra sul cortile. Però ci sono delle novità. Un gruppo allegro di studentesse di Fashion, venute dalla provincia più opulenta ad addentare la metropoli; e due nuove coppie di ricchi inquilini, a testimoniare che anche la Casa di ringhiera si gentrifica. E proprio da Camilla, la bella amante dell'architetto Sommariva, si viene a sapere qualcosa di Yutta, la venere tedesca che, dopo aver ammaliato tutti, era sparita con una fortuna e in barba al pensionato Consonni. La notizia fa ripiombare la Casa di ringhiera in una scalcagnata ed esagerata avventura. In questa nuova puntata della serie fortunata in cui un intero caseggiato assume personalità entro una cornice comico criminale, mosso da un'animazione farsesca, l'autore Francesco Recami sollecita il lettore a riflettere su cosa sia in realtà l'intrattenimento letterario. Un tema drammatico e surreale entra nella scena: che tipo di vita è quella dei personaggi di un romanzo?
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17,00
Non si fa che parlare dell'ELP, l'Esercito di Liberazione del Pianeta. Il vicequestore Rocco Schiavone guarda con simpatia mista al solito scetticismo ai gesti clamorosi di questi disobbedienti che liberano eserciti di animali d'allevamento in autostrada. Semmai è incuriosito dal loro segno di riconoscimento che si diffonde come un contagio tra ragazze e ragazzi. La vera violenza sta però da un'altra parte e quando Rocco viene a sapere di una signora picchiata dal marito non si trattiene, «come una belva sfoga la sua rabbia incontenibile»: «un buon suggerimento» per comportamenti futuri. Solo che lo stesso uomo l'indomani viene trovato ucciso con un colpo di pistola alla fronte. Uno strano assassinio, su cui Schiavone deve aprire un'inchiesta da subito contorta da fatti personali (comici e tragici). Per quanto fortuna voglia che facciano squadra clandestinamente anche i vecchi amici senza tetto né legge di Trastevere, Brizio e Furio, che corrispondono al suo naturale sentimento contro il potere. Nel caso è implicata una società che sembra una pura copertura. Ma dietro questa copertura, qualcosa stride e fa attrito fino a bloccare completamente Rocco sull'orlo della soluzione del caso. Intanto crescono in aggressività gli atti dell'ELP fino a un attentato che provoca la morte di un imprenditore di una fabbrica di pellami. Indagando, Rocco si rende conto che forse, dal punto di vista della sensibilità ambientale, sullo stabilimento non c'è molto da ridire. Ma perché i «simpatici» ambientalisti sono giunti a tanto? ELP è particolarmente narrativa e mette sotto un unico segno due casi e due inchieste. Le riunisce lo sfondo di calda attualità sociale. Anche il brusco vicequestore è più ombroso e stanco, sente più acutamente quanto importante sia l'amicizia, e deve investire nell'indagine tutta la sua irruente e sincera passionalità, e tutta la tenerezza della sua invincibile malinconia.
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Non si fa che parlare dell'ELP, l'Esercito di Liberazione del Pianeta. Il vicequestore Rocco Schiavone guarda con simpatia mista al solito scetticismo ai gesti clamorosi di questi disobbedienti che liberano eserciti di animali d'allevamento in autostrada. Semmai è incuriosito dal loro segno di riconoscimento che si diffonde come un contagio tra ragazze e ragazzi. La vera violenza sta però da un'altra parte e quando Rocco viene a sapere di una signora picchiata dal marito non si trattiene, «come una belva sfoga la sua rabbia incontenibile»: «un buon suggerimento» per comportamenti futuri. Solo che lo stesso uomo l'indomani viene trovato ucciso con un colpo di pistola alla fronte. Uno strano assassinio, su cui Schiavone deve aprire un'inchiesta da subito contorta da fatti personali (comici e tragici). Per quanto fortuna voglia che facciano squadra clandestinamente anche i vecchi amici senza tetto né legge di Trastevere, Brizio e Furio, che corrispondono al suo naturale sentimento contro il potere. Nel caso è implicata una società che sembra una pura copertura. Ma dietro questa copertura, qualcosa stride e fa attrito fino a bloccare completamente Rocco sull'orlo della soluzione del caso. Intanto crescono in aggressività gli atti dell'ELP fino a un attentato che provoca la morte di un imprenditore di una fabbrica di pellami. Indagando, Rocco si rende conto che forse, dal punto di vista della sensibilità ambientale, sullo stabilimento non c'è molto da ridire. Ma perché i «simpatici» ambientalisti sono giunti a tanto? ELP è particolarmente narrativa e mette sotto un unico segno due casi e due inchieste. Le riunisce lo sfondo di calda attualità sociale. Anche il brusco vicequestore è più ombroso e stanco, sente più acutamente quanto importante sia l'amicizia, e deve investire nell'indagine tutta la sua irruente e sincera passionalità, e tutta la tenerezza della sua invincibile malinconia.
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La paura di Montalbano

14,00
Camilleri è un maestro del racconto. Si presta sia alla misura minima della novella che a quella del romanzo breve. E, nella raccolta La paura di Montalbano (uscita in prima edizione, per Mondadori, nel 2002), alterna «ritmi» brevi e «ritmi» lunghi. Concerta il tutto nella forma compattamente ritmica di un libro di grande felicità narrativa e di sicuro diletto. Fa da preludio Giorno di febbre. Vi abita un Montalbano febbricitante, impegnato nella vana ricerca di un termometro. È quasi una comica. Eppure il commissario, che assiste a uno scippo e al ferimento di una bambina, ha modo di fiutare, nel segreto di un barbone che si prodiga a dare soccorso, l'inabissamento di un giallo. La ricerca investigativa irrompe nel romanzo breve Ferito a morte. Montalbano si incarica di dare di sé un ritratto a contrasto, un attestato di esistenza in vita in qualità di personaggio nel ruolo di sbirro: lui «è» in quanto esistono i delinquenti. Un colpo di pistola ha ucciso, nudo nel suo letto, uno spurcissimo strozzino, che tiene in casa come serva una nipote diciottenne e ha come esattore un pregiudicato. Entra in scena un altro morto ammazzato. Si tratta del fattorino Dindò, personaggio di lunare innocenza. Per risolvere il caso, Montalbano si atteggia a regista cinematografico. Prova e riprova sul set le ricostruzioni possibili. Si insinua veloce, nella trama del libro, Un cappello pieno di pioggia. Ed è un imprevedibile cappello, quello del titolo, che consente allo sbigottito Montalbano, in trasferta a Roma, di favorire la cattura di uno spacciatore. Il quarto segreto vede in azione un Montalbano inedito che segretamente collabora con i carabinieri; e, senza la sua squadra, ma con l'aiuto esclusivo di un Catarella «affelicitato», porta a termine l'indagine sulla morte di un misterioso muratore e sulle attività di un costruttore mafioso. Segue, con La paura di Montalbano, l'ultimo «movimento» corto. Nella luminosità gelida di una passeggiata in montagna, accade a Montalbano di salvare una donna sospesa su uno «sbalanco». E di rispondere mentalmente alla provocazione di Livia, che lo accusa di non spingersi oltre le «prove» nelle sue investigazioni, proibendosi di scendere negli «abissi dell'animo». Montalbano confessa di avere «scanto». Sapeva che, «raggiunto il fondo di uno qualsiasi di questi strapiombi, ci avrebbe immancabilmente trovato uno specchio». Conclude il libro Meglio lo scuro. Dapprima Montalbano è riluttante. Non vuole affrontare il caso. Gli sembra di dover entrare in un romanzo d'appendice da smorfiare in romanzo poliziesco. C'è una confessione in punto di morte: un veleno che non è veleno; un omicidio che non è omicidio. La storia è datata 1950. Le persone implicate sono già morte, o prossime a morire. Alla fine il commissario non si sottrae. Purtroppo la verità che scopre è diventata superflua. Anzi, la sua «luce» può risultare inutilmente ustionante.
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La paura di Montalbano

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Camilleri è un maestro del racconto. Si presta sia alla misura minima della novella che a quella del romanzo breve. E, nella raccolta La paura di Montalbano (uscita in prima edizione, per Mondadori, nel 2002), alterna «ritmi» brevi e «ritmi» lunghi. Concerta il tutto nella forma compattamente ritmica di un libro di grande felicità narrativa e di sicuro diletto. Fa da preludio Giorno di febbre. Vi abita un Montalbano febbricitante, impegnato nella vana ricerca di un termometro. È quasi una comica. Eppure il commissario, che assiste a uno scippo e al ferimento di una bambina, ha modo di fiutare, nel segreto di un barbone che si prodiga a dare soccorso, l'inabissamento di un giallo. La ricerca investigativa irrompe nel romanzo breve Ferito a morte. Montalbano si incarica di dare di sé un ritratto a contrasto, un attestato di esistenza in vita in qualità di personaggio nel ruolo di sbirro: lui «è» in quanto esistono i delinquenti. Un colpo di pistola ha ucciso, nudo nel suo letto, uno spurcissimo strozzino, che tiene in casa come serva una nipote diciottenne e ha come esattore un pregiudicato. Entra in scena un altro morto ammazzato. Si tratta del fattorino Dindò, personaggio di lunare innocenza. Per risolvere il caso, Montalbano si atteggia a regista cinematografico. Prova e riprova sul set le ricostruzioni possibili. Si insinua veloce, nella trama del libro, Un cappello pieno di pioggia. Ed è un imprevedibile cappello, quello del titolo, che consente allo sbigottito Montalbano, in trasferta a Roma, di favorire la cattura di uno spacciatore. Il quarto segreto vede in azione un Montalbano inedito che segretamente collabora con i carabinieri; e, senza la sua squadra, ma con l'aiuto esclusivo di un Catarella «affelicitato», porta a termine l'indagine sulla morte di un misterioso muratore e sulle attività di un costruttore mafioso. Segue, con La paura di Montalbano, l'ultimo «movimento» corto. Nella luminosità gelida di una passeggiata in montagna, accade a Montalbano di salvare una donna sospesa su uno «sbalanco». E di rispondere mentalmente alla provocazione di Livia, che lo accusa di non spingersi oltre le «prove» nelle sue investigazioni, proibendosi di scendere negli «abissi dell'animo». Montalbano confessa di avere «scanto». Sapeva che, «raggiunto il fondo di uno qualsiasi di questi strapiombi, ci avrebbe immancabilmente trovato uno specchio». Conclude il libro Meglio lo scuro. Dapprima Montalbano è riluttante. Non vuole affrontare il caso. Gli sembra di dover entrare in un romanzo d'appendice da smorfiare in romanzo poliziesco. C'è una confessione in punto di morte: un veleno che non è veleno; un omicidio che non è omicidio. La storia è datata 1950. Le persone implicate sono già morte, o prossime a morire. Alla fine il commissario non si sottrae. Purtroppo la verità che scopre è diventata superflua. Anzi, la sua «luce» può risultare inutilmente ustionante.
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I miei stupidi intenti

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Questa è la lunga vita di una faina, raccontata di suo pugno. Fra gli alberi dei boschi, le colline erbose, le tane sotterranee e la campagna soggiogata dall'uomo, si svela la storia di un animale diverso da tutti. Archy nasce una notte d'inverno, assieme ai suoi fratelli: alla madre hanno ucciso il compagno, e si ritrova a doverli crescere da sola. Gli animali in questo libro parlano, usa-no i piatti per il cibo, stoviglie, tavoli, letti, accendono fuochi, ma il loro mondo rimane una lotta per la sopravvivenza, dura e spietata, come d'altronde è la natura. Sono mossi dalle necessità e dall'istinto, il più forte domina e chi perde deve arrangiarsi. È proprio intuendo la debolezza del figlio che la madre baratta Archy per una gallina e mezzo. Il suo nuovo padrone si chiama Solomon, ed è una vecchia volpe piena di segreti, che vive in cima a una collina. Questi cambiamenti sconvolgeranno la vita di Archy: gli amori rubati, la crudeltà quotidiana del vivere, il tempo presente e quello passato si manifesteranno ai suoi occhi con incredibile forza. Fra terrore e meraviglia, con il passare implacabile delle stagioni e il pungolo di nuovi desideri, si schiuderanno fra le sue zampe misteri e segreti. Archy sarà sempre meno animale, un miracolo silenzioso fra le foreste, un'anomalia. A contraltare, tra le pagine di questo libro, il miracolo di una narrazione trascinante, che accompagna il lettore in una dimensione non più umana, proprio quando lo pone di fronte alle domande essenziali del nostro essere uomini e donne. I miei stupidi intenti è un romanzo ambizioso e limpido, ed è stato scritto da un ragazzo di soli venticinque anni. Come un segno di speranza, di futuro, per chi vive di libri.
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I miei stupidi intenti

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Questa è la lunga vita di una faina, raccontata di suo pugno. Fra gli alberi dei boschi, le colline erbose, le tane sotterranee e la campagna soggiogata dall'uomo, si svela la storia di un animale diverso da tutti. Archy nasce una notte d'inverno, assieme ai suoi fratelli: alla madre hanno ucciso il compagno, e si ritrova a doverli crescere da sola. Gli animali in questo libro parlano, usa-no i piatti per il cibo, stoviglie, tavoli, letti, accendono fuochi, ma il loro mondo rimane una lotta per la sopravvivenza, dura e spietata, come d'altronde è la natura. Sono mossi dalle necessità e dall'istinto, il più forte domina e chi perde deve arrangiarsi. È proprio intuendo la debolezza del figlio che la madre baratta Archy per una gallina e mezzo. Il suo nuovo padrone si chiama Solomon, ed è una vecchia volpe piena di segreti, che vive in cima a una collina. Questi cambiamenti sconvolgeranno la vita di Archy: gli amori rubati, la crudeltà quotidiana del vivere, il tempo presente e quello passato si manifesteranno ai suoi occhi con incredibile forza. Fra terrore e meraviglia, con il passare implacabile delle stagioni e il pungolo di nuovi desideri, si schiuderanno fra le sue zampe misteri e segreti. Archy sarà sempre meno animale, un miracolo silenzioso fra le foreste, un'anomalia. A contraltare, tra le pagine di questo libro, il miracolo di una narrazione trascinante, che accompagna il lettore in una dimensione non più umana, proprio quando lo pone di fronte alle domande essenziali del nostro essere uomini e donne. I miei stupidi intenti è un romanzo ambizioso e limpido, ed è stato scritto da un ragazzo di soli venticinque anni. Come un segno di speranza, di futuro, per chi vive di libri.
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Brick for stone. Ediz. italiana

16,00
È l'anno fatidico 2001. A New York, Harvey Sonnenfeld, agente CIA messo un po' in disparte ma carico di esperienza, ha un'intuizione, una di quelle convinzioni tenaci che non si sa da dove vengano ma che possono essere più radicate di un ragionamento articolato: ci sarà un attentato. «New York conta un bel po' di milioni di abitanti, e nessuno può sapere esattamente quanti stanno preparando un attentato. Loro sono qui e io prima o poi li annuserò». Ingaggia allo scopo un gruppo di persone tanto assurdo quanto efficace. Bobby Fischer, l'unico americano della storia campione mondiale di scacchi, paranoico, ma capace di anticipare un migliaio di mosse; l'immigrato russo Kozlov, un ubriacone, proveniente dall'Afghanistan, ingegnere esperto di ogni tipo di attentato; il professor Koselleck, cacciato dall'università a causa di una condanna per stalkeraggio contro la moglie, il massimo studioso del pianeta di graffiti offensivi e scritte oscene. Intanto un'ombra si aggira, un altro gruppo affaccendato a tessere una rete di contatti; per loro non è il 2001 ma l'anno 1421 dall'Egira. L'improbabile squadra di Harvey Sonnenfeld da un labile indizio scovato in metropolitana e una conversazione captata per caso, dà l'avvio a una corsa contro un tempo immaginario, in cui si profilano minuziosamente terroristi costruiti sull'equivoco. Siamo arrivati a settembre. La fine è nota. Ma il racconto è pieno di tensione e di sorprese, e pervaso dall'ironia di chi, come Alessandro Barbero, sa guardare alla storia con disincanto. E il desiderio di complotti produce le sue conseguenze, mentre la realtà va pericolosamente, indisturbata, per conto suo.
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Brick for stone. Ediz. italiana

16,00
È l'anno fatidico 2001. A New York, Harvey Sonnenfeld, agente CIA messo un po' in disparte ma carico di esperienza, ha un'intuizione, una di quelle convinzioni tenaci che non si sa da dove vengano ma che possono essere più radicate di un ragionamento articolato: ci sarà un attentato. «New York conta un bel po' di milioni di abitanti, e nessuno può sapere esattamente quanti stanno preparando un attentato. Loro sono qui e io prima o poi li annuserò». Ingaggia allo scopo un gruppo di persone tanto assurdo quanto efficace. Bobby Fischer, l'unico americano della storia campione mondiale di scacchi, paranoico, ma capace di anticipare un migliaio di mosse; l'immigrato russo Kozlov, un ubriacone, proveniente dall'Afghanistan, ingegnere esperto di ogni tipo di attentato; il professor Koselleck, cacciato dall'università a causa di una condanna per stalkeraggio contro la moglie, il massimo studioso del pianeta di graffiti offensivi e scritte oscene. Intanto un'ombra si aggira, un altro gruppo affaccendato a tessere una rete di contatti; per loro non è il 2001 ma l'anno 1421 dall'Egira. L'improbabile squadra di Harvey Sonnenfeld da un labile indizio scovato in metropolitana e una conversazione captata per caso, dà l'avvio a una corsa contro un tempo immaginario, in cui si profilano minuziosamente terroristi costruiti sull'equivoco. Siamo arrivati a settembre. La fine è nota. Ma il racconto è pieno di tensione e di sorprese, e pervaso dall'ironia di chi, come Alessandro Barbero, sa guardare alla storia con disincanto. E il desiderio di complotti produce le sue conseguenze, mentre la realtà va pericolosamente, indisturbata, per conto suo.
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ricreazione è finita

16,00
Marcello è un trentenne senza un vero lavoro, resiste ai tentativi della fidanzata di rinsaldare il legame e cerca di prolungare ad libitum la sua condizione di post-adolescente fuori tempo massimo. La sua sola certezza è che vuole dirazzare, cioè non finire come suo padre a occuparsi del bar di famiglia. Per spirito di contraddizione, partecipa a un concorso di dottorato in Lettere, e imprevedibilmente vince la borsa. Entra così nel mondo accademico e il suo professore, un barone di nome Sacrosanti, gli affida come tesi un lavoro sul viareggino Tito Sella, un terrorista finito presto in galera e morto in carcere, dove però ha potuto completare alcuni scritti tra cui le Agiografie infami, e dove si dice abbia scritto La Fantasima, la presunta autobiografia mai ritrovata. Lo studio della vita e delle opere di Sella sviluppa in lui una specie di identificazione, una profonda empatia con il terrorista-scrittore: lo colpisce il carattere personale, più che sociale, della sua disperazione. Contemporaneamente sperimenta dal di dentro l'università: gli intrighi, le lotte di potere tra cordate e le pretestuose contrapposizioni ideologiche, come funziona una carriera nell'università, perfino come si scrive un articolo «scientifico» e come viene valutato. Si moltiplicano così i riferimenti alla vita e alla letteratura di Tito Sella, inventate ma ironicamente ricostruite nei minimi dettagli; e mentre prosegue la sarcastica descrizione della vita universitaria, il racconto entra nella vita quotidiana di Marcello e nelle sue vitellonesche amicizie viareggine. Realtà sovrapposte, in cui si rivelano come colpi di scena delle verità sospese. Che cosa contiene l'archivio Sella, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi? Perché il vecchio luminare Sacrosanti ha interesse per un terrorista e oscuro scrittore? E che cosa racconta, se esiste, La Fantasima, l'autobiografia perduta? La ricreazione è finita è un'opera che si presta a significati e interpretazioni molteplici. Un narrato in cui si stratificano il genere del romanzo universitario - imperniato dentro l'artificioso e ossimorico mondo dell'accademia -, con il romanzo di formazione; il divertimento divagante sui giorni perduti di una generazione di provincia, con la riflessione, audace e penetrante, sulla figura del terrorista; e il romanzo nel romanzo, dove l'autore cede la parola all'autobiografia del suo personaggio.
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ricreazione è finita

16,00
Marcello è un trentenne senza un vero lavoro, resiste ai tentativi della fidanzata di rinsaldare il legame e cerca di prolungare ad libitum la sua condizione di post-adolescente fuori tempo massimo. La sua sola certezza è che vuole dirazzare, cioè non finire come suo padre a occuparsi del bar di famiglia. Per spirito di contraddizione, partecipa a un concorso di dottorato in Lettere, e imprevedibilmente vince la borsa. Entra così nel mondo accademico e il suo professore, un barone di nome Sacrosanti, gli affida come tesi un lavoro sul viareggino Tito Sella, un terrorista finito presto in galera e morto in carcere, dove però ha potuto completare alcuni scritti tra cui le Agiografie infami, e dove si dice abbia scritto La Fantasima, la presunta autobiografia mai ritrovata. Lo studio della vita e delle opere di Sella sviluppa in lui una specie di identificazione, una profonda empatia con il terrorista-scrittore: lo colpisce il carattere personale, più che sociale, della sua disperazione. Contemporaneamente sperimenta dal di dentro l'università: gli intrighi, le lotte di potere tra cordate e le pretestuose contrapposizioni ideologiche, come funziona una carriera nell'università, perfino come si scrive un articolo «scientifico» e come viene valutato. Si moltiplicano così i riferimenti alla vita e alla letteratura di Tito Sella, inventate ma ironicamente ricostruite nei minimi dettagli; e mentre prosegue la sarcastica descrizione della vita universitaria, il racconto entra nella vita quotidiana di Marcello e nelle sue vitellonesche amicizie viareggine. Realtà sovrapposte, in cui si rivelano come colpi di scena delle verità sospese. Che cosa contiene l'archivio Sella, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi? Perché il vecchio luminare Sacrosanti ha interesse per un terrorista e oscuro scrittore? E che cosa racconta, se esiste, La Fantasima, l'autobiografia perduta? La ricreazione è finita è un'opera che si presta a significati e interpretazioni molteplici. Un narrato in cui si stratificano il genere del romanzo universitario - imperniato dentro l'artificioso e ossimorico mondo dell'accademia -, con il romanzo di formazione; il divertimento divagante sui giorni perduti di una generazione di provincia, con la riflessione, audace e penetrante, sulla figura del terrorista; e il romanzo nel romanzo, dove l'autore cede la parola all'autobiografia del suo personaggio.
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La doppia vita di M. Laurent

11,00
A Palermo, su un marciapiede viscido di pioggia, un morto con il cuore trapassato da un colpo di pistola. Dopo l'esordio ne "I delitti di via Medina-Sidonia", un altro caso costringe all'indagine Lorenzo La Marca, biologo per vocazione e detective per necessità (o forse è il contrario?). La Marca si concede tempo. Tempo per dare un'occhiata da vicino, tempo per un aperitivo su una terrazza a un passo dal centro, contemplando distese di tetti e cupole e, in fondo, la linea ferma del mare. La sua inveterata affezione al corto circuito logico, la capacità di comporre le contraddizioni in una superiore unità, gli fornirà la chiave per decifrare una vicenda equivoca e paradossale. Fino all'incredibile soluzione.
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A Palermo, su un marciapiede viscido di pioggia, un morto con il cuore trapassato da un colpo di pistola. Dopo l'esordio ne "I delitti di via Medina-Sidonia", un altro caso costringe all'indagine Lorenzo La Marca, biologo per vocazione e detective per necessità (o forse è il contrario?). La Marca si concede tempo. Tempo per dare un'occhiata da vicino, tempo per un aperitivo su una terrazza a un passo dal centro, contemplando distese di tetti e cupole e, in fondo, la linea ferma del mare. La sua inveterata affezione al corto circuito logico, la capacità di comporre le contraddizioni in una superiore unità, gli fornirà la chiave per decifrare una vicenda equivoca e paradossale. Fino all'incredibile soluzione.
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Rosaura alle dieci

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Gli invisibili

16,00
Si innamorano già dal primo incontro, seduti al tavolino di un bar. Arsim è albanese, Miloš serbo, vivono a Pristina, in Kosovo, a metà degli anni Novanta, studiano all'università. Per entrambi la cultura di provenienza rifiuta le relazioni tra uomini. Eppure la loro storia sembra perfetta, l'anima e il corpo, lo spirito e la carne, Romeo ha trovato Romeo. Anche se Arsim è sposato, a seguito di un matrimonio combinato voluto dai genitori. Di lì a qualche mese la guerra sconvolgerà le loro vite, serbi contro albanesi, milioni di profughi, una ferocia efferata che scatena il terribile naufragio di una nazione. Arsim e Miloš avevano un sogno, e quel sogno è impossibile. Arsim partirà con la famiglia verso un paese straniero, Miloš si arruolerà come medico, vivrà in pieno la disumanità della guerra. Il primo diventerà un marito violento, un padre tirannico, il secondo sembra sprofondare nell'oscurità. Storia di una grande passione che si infrange contro una realtà assurda e al tempo stesso atrocemente vera, Gli invisibili è un romanzo di rabbia e tenerezza spiazzanti che racconta in un unico sguardo l'amore e l'orrore e indaga con lucidità il ricatto implacabile dei desideri che ci torturano, perché «i sogni corrono dietro alle menzogne che diciamo a noi stessi». Come è possibile sopravvivere quando non puoi essere quello che sei, quando bisogna nascondersi dal mondo e nel mondo? È un quesito che vale ancora oggi, persino da noi, e in molti paesi d'Europa, e Pajtim Statovci ha la grazia di narrare la Storia nel riflesso dello specchio più intimo e nascosto, di affrontare paure e verità con una prosa luminosa e uno sguardo delicato, con un virtuosismo che eleva la sua arte in una dimensione che non ha tempo e luogo. La giuria del Finlandia Prize, il più importante premio letterario finlandese, ha scritto: «Questo è un romanzo che incanta grazie al potere della sua lingua. Una storia di umana follia, di perdita e crudeltà, ma anche di amore e devozione». Come già ne Le transizioni, Statovci si dimostra uno dei più innovativi e potenti romanzieri europei.
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Gli invisibili

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Si innamorano già dal primo incontro, seduti al tavolino di un bar. Arsim è albanese, Miloš serbo, vivono a Pristina, in Kosovo, a metà degli anni Novanta, studiano all'università. Per entrambi la cultura di provenienza rifiuta le relazioni tra uomini. Eppure la loro storia sembra perfetta, l'anima e il corpo, lo spirito e la carne, Romeo ha trovato Romeo. Anche se Arsim è sposato, a seguito di un matrimonio combinato voluto dai genitori. Di lì a qualche mese la guerra sconvolgerà le loro vite, serbi contro albanesi, milioni di profughi, una ferocia efferata che scatena il terribile naufragio di una nazione. Arsim e Miloš avevano un sogno, e quel sogno è impossibile. Arsim partirà con la famiglia verso un paese straniero, Miloš si arruolerà come medico, vivrà in pieno la disumanità della guerra. Il primo diventerà un marito violento, un padre tirannico, il secondo sembra sprofondare nell'oscurità. Storia di una grande passione che si infrange contro una realtà assurda e al tempo stesso atrocemente vera, Gli invisibili è un romanzo di rabbia e tenerezza spiazzanti che racconta in un unico sguardo l'amore e l'orrore e indaga con lucidità il ricatto implacabile dei desideri che ci torturano, perché «i sogni corrono dietro alle menzogne che diciamo a noi stessi». Come è possibile sopravvivere quando non puoi essere quello che sei, quando bisogna nascondersi dal mondo e nel mondo? È un quesito che vale ancora oggi, persino da noi, e in molti paesi d'Europa, e Pajtim Statovci ha la grazia di narrare la Storia nel riflesso dello specchio più intimo e nascosto, di affrontare paure e verità con una prosa luminosa e uno sguardo delicato, con un virtuosismo che eleva la sua arte in una dimensione che non ha tempo e luogo. La giuria del Finlandia Prize, il più importante premio letterario finlandese, ha scritto: «Questo è un romanzo che incanta grazie al potere della sua lingua. Una storia di umana follia, di perdita e crudeltà, ma anche di amore e devozione». Come già ne Le transizioni, Statovci si dimostra uno dei più innovativi e potenti romanzieri europei.
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L’educazione sentimentale di Eugenio Licitra

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L’educazione sentimentale di Eugenio Licitra

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Alabama

15,00
Alcuni anni fa, nei suoi percorsi e studi da storico, Barbero ha incontrato una storia che non poteva essere racchiusa in un saggio. Ed è quella di Alabama, che pur non essendo nato come reazione alla storia recente ne anticipa i motivi profondi, scandagliandone l'oscurità delle viscere. È la vicenda di un eccidio di neri, di «negri», durante la Guerra di Secessione, la prima grande lacerazione nazionale che divide il paese tra chi vuole bandire la schiavitù e chi non ne ha nessuna intenzione. Ed è la storia di bianchi pulciosi e affamati che vanno in guerra per pochi spiccioli e che sentono il diritto naturale di fare dei negri quello che vogliono. Tutto questo diventa il racconto fluviale, trascinante, inarrestabile, dell'unico testimone sopravvissuto, Dick Stanton, soldato dell'esercito del Sud, stanato e pungolato in fin di vita da una giovane studentessa che vuole ricostruire la verità. Verità storica e romanzesca, perché Barbero inventa una voce indimenticabile, comica e inaffidabile, logorroica e irritante, dolente e angosciosa, che trascina il lettore in quegli abissi che ancora una volta si sono riaperti. Il nuovo romanzo di Barbero va davvero a toccare i tratti del carattere americano che sono deflagrati negli eventi dell'ultimo anno e degli ultimi mesi: la questione del suprematismo bianco, il razzismo profondo che innerva persino le istituzioni, la mentalità paranoica, l'orgoglio e la presunzione di farsi giustizia da sé, la violenza che scaturisce dalla povertà, dalla rabbia, da ciò che si vive come ingiusto sulla propria pelle e che si rovescia su chi è ancora più debole.
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Alabama

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Alcuni anni fa, nei suoi percorsi e studi da storico, Barbero ha incontrato una storia che non poteva essere racchiusa in un saggio. Ed è quella di Alabama, che pur non essendo nato come reazione alla storia recente ne anticipa i motivi profondi, scandagliandone l'oscurità delle viscere. È la vicenda di un eccidio di neri, di «negri», durante la Guerra di Secessione, la prima grande lacerazione nazionale che divide il paese tra chi vuole bandire la schiavitù e chi non ne ha nessuna intenzione. Ed è la storia di bianchi pulciosi e affamati che vanno in guerra per pochi spiccioli e che sentono il diritto naturale di fare dei negri quello che vogliono. Tutto questo diventa il racconto fluviale, trascinante, inarrestabile, dell'unico testimone sopravvissuto, Dick Stanton, soldato dell'esercito del Sud, stanato e pungolato in fin di vita da una giovane studentessa che vuole ricostruire la verità. Verità storica e romanzesca, perché Barbero inventa una voce indimenticabile, comica e inaffidabile, logorroica e irritante, dolente e angosciosa, che trascina il lettore in quegli abissi che ancora una volta si sono riaperti. Il nuovo romanzo di Barbero va davvero a toccare i tratti del carattere americano che sono deflagrati negli eventi dell'ultimo anno e degli ultimi mesi: la questione del suprematismo bianco, il razzismo profondo che innerva persino le istituzioni, la mentalità paranoica, l'orgoglio e la presunzione di farsi giustizia da sé, la violenza che scaturisce dalla povertà, dalla rabbia, da ciò che si vive come ingiusto sulla propria pelle e che si rovescia su chi è ancora più debole.
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La verità su Amedeo Consonni

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La verità su Amedeo Consonni

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Morte di un ex tappezziere

14,00
Amedeo Consonni, il tappezziere pensionato protagonista di avventure rocambolesche e di investigazioni paradossali, è morto. Non di morte naturale, però. Ma come si è arrivati a quell'esito fatale? Occorre tornare un po' indietro. Angela, la professoressa Mattioli vicina di casa e matura fidanzata del tappezziere, ufficialmente è andata a Bruxelles dalla figlia, ma è via anche per certi affari misteriosi. Un po' immalinconito, Amedeo si trova ad affrontare la solitudine e prende una di quelle sbandate senili per una giovane barista, una bella ragazza dell'Est, che sembra in cerca di un padre o non è insensibile verso chi la tratta con antica cavalleria. Consonni si strugge d'amore. Intanto la vita della Casa di ringhiera procede nella micro malignità di tutti i giorni: il vecchio De Angelis tende le sue trappole al cagnetto che gli lorda la BMW e al suo padrone, l'ex alcolizzato e detossificato Claudio subisce le angherie della finta invalida signorina Mattei-Ferri, Donatella è incalzata da un corteggiatore, i peruviani del secondo piano diffondono chiasso festaiolo. Tutto come al solito. Questo piccolo teatro della crudele normalità è scombussolato dall'irrompere di due intrecci criminosi. La passione trascina Consonni in una storia infame di sfruttamento e traffici schiavistici di giovani donne, mentre un cospicuo panetto di droga, nascosto da due spacciatori di via Padova, viene scoperto da alcuni inquilini della ringhiera...
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Morte di un ex tappezziere

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Amedeo Consonni, il tappezziere pensionato protagonista di avventure rocambolesche e di investigazioni paradossali, è morto. Non di morte naturale, però. Ma come si è arrivati a quell'esito fatale? Occorre tornare un po' indietro. Angela, la professoressa Mattioli vicina di casa e matura fidanzata del tappezziere, ufficialmente è andata a Bruxelles dalla figlia, ma è via anche per certi affari misteriosi. Un po' immalinconito, Amedeo si trova ad affrontare la solitudine e prende una di quelle sbandate senili per una giovane barista, una bella ragazza dell'Est, che sembra in cerca di un padre o non è insensibile verso chi la tratta con antica cavalleria. Consonni si strugge d'amore. Intanto la vita della Casa di ringhiera procede nella micro malignità di tutti i giorni: il vecchio De Angelis tende le sue trappole al cagnetto che gli lorda la BMW e al suo padrone, l'ex alcolizzato e detossificato Claudio subisce le angherie della finta invalida signorina Mattei-Ferri, Donatella è incalzata da un corteggiatore, i peruviani del secondo piano diffondono chiasso festaiolo. Tutto come al solito. Questo piccolo teatro della crudele normalità è scombussolato dall'irrompere di due intrecci criminosi. La passione trascina Consonni in una storia infame di sfruttamento e traffici schiavistici di giovani donne, mentre un cospicuo panetto di droga, nascosto da due spacciatori di via Padova, viene scoperto da alcuni inquilini della ringhiera...
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L’uomo con la valigia

14,00
Descrizione Amedeo Consonni, il pensionato con il talento di trovarsi coinvolto negli imbrogli più singolari, entra in scena in mezzo a un bagno di sangue. Si trova a impugnare il coltello che affonda nella bianca carne di una bella ragazza immersa nell'acqua di una vasca color profondo rosso. E per giunta, un misterioso portatore di gemelli da polso del Milan lo immortala con un flash nella posa compromettente che lo identifica come un assassino. Che ne penserà la professoressa Angela Mattioli, la sua compagna? Per l'occasione si dimenticherà della sua tradizionale tolleranza. Ed è il timore della polizia, e forse ancor di più quello dell'irosa Angela, a costringere Amedeo a trasformarsi in un fuggiasco, a tingersi i capelli e a prendere altre identità. Ha capito che o si salva da sé scoprendo il vero assassino o stavolta è proprio perduto. Così non trova altro complice che l'ottantenne Luis De Angelis, che ha testa solo per il suo spider BMW 24 valvole, ma anche un po' per lucrare sulle disgrazie altrui. Intanto la Casa di ringhiera cade sotto le mire speculative di una coppia di architetti alla moda. Seguirà il perenne parapiglia che coinvolge tutti: un crescendo di chiasso e tragedia da molto rumore per nulla. E con la suspense della soluzione finale, tanto più catartica quanto più l'enigma è una moltiplicazione di ipotesi.non disponibile.
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L’uomo con la valigia

14,00
Descrizione Amedeo Consonni, il pensionato con il talento di trovarsi coinvolto negli imbrogli più singolari, entra in scena in mezzo a un bagno di sangue. Si trova a impugnare il coltello che affonda nella bianca carne di una bella ragazza immersa nell'acqua di una vasca color profondo rosso. E per giunta, un misterioso portatore di gemelli da polso del Milan lo immortala con un flash nella posa compromettente che lo identifica come un assassino. Che ne penserà la professoressa Angela Mattioli, la sua compagna? Per l'occasione si dimenticherà della sua tradizionale tolleranza. Ed è il timore della polizia, e forse ancor di più quello dell'irosa Angela, a costringere Amedeo a trasformarsi in un fuggiasco, a tingersi i capelli e a prendere altre identità. Ha capito che o si salva da sé scoprendo il vero assassino o stavolta è proprio perduto. Così non trova altro complice che l'ottantenne Luis De Angelis, che ha testa solo per il suo spider BMW 24 valvole, ma anche un po' per lucrare sulle disgrazie altrui. Intanto la Casa di ringhiera cade sotto le mire speculative di una coppia di architetti alla moda. Seguirà il perenne parapiglia che coinvolge tutti: un crescendo di chiasso e tragedia da molto rumore per nulla. E con la suspense della soluzione finale, tanto più catartica quanto più l'enigma è una moltiplicazione di ipotesi.non disponibile.
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Il caso Kakoiannis-Sforza

14,00
Descrizione non dAngela Mattioli, la professoressa in pensione, ha rotto definitivamente con il Consonni, il tappezziere collezionista di indagini irrisolte. Il suo manoscritto del «Segreto di Angela» che lei gli aveva affidato non si trova più; il romanzo è una bomba a orologeria che le rovinerebbe la vita se solo finisse nelle mani sbagliate. Il manoscritto invece - il gioco del caso - finisce nelle mani giuste, e cioè quelle di un editore che, entusiasta, non perde tempo e offre alla Mattioli un contratto e la promessa di farla ricca e famosa, affidandola a un editor perché le dia una mano a sistemare lingua e plot. Parallela alla vicenda del manoscritto, corre l’indagine che Consonni conduce per conto di Luisa Kakoiannis-Sforza, la danarosa e bella protagonista della vita mondana milanese che gli ha affidato un incarico professionale non di poco conto. La figlia Marilou, viziata e scapestrata come si addice a una vera vip, da alcuni giorni è irreperibile e ha inviato alla madre una strana fotografia nella quale si intravede un graffito su un muro. A chi chiedere aiuto per avere lumi in tema di celebrità se non alla signorina Mattei-Ferri, vera enciclopedia del pettegolezzo? In un crescendo rocambolesco in cui non vengono risparmiati colpi di scena, Porsche fiammanti, ragazze morte, paparazzi, ville a Lugano, i personaggi vanno e vengono dalla casa di ringhiera come attori tra le quinte di un teatro. Nessuno manca all’appello: c’è Giulia, la figlia della Mattioli che sospetta della salute mentale della madre, c’è Claudio che si è rifugiato nella casa di Consonni devastandone l’ordine e le riserve alcoliche, c’è l’operaio Antonio che si è messo sulla retta via ma incrocia ancora i vecchi ostacoli, c’è Luis De Angelis che ha perso la testa non per la BMW 24 valvole ma per la matura Carmela della trattoria «La bella Trapani», c’è pure Enrico che viola il divieto della madre di vedere il nonno e sfugge al controllo della nuova babysitter. Una commedia dell’arte effervescente, condotta con euforico senso dell’umorismo.isponibile.
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Il caso Kakoiannis-Sforza

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Descrizione non dAngela Mattioli, la professoressa in pensione, ha rotto definitivamente con il Consonni, il tappezziere collezionista di indagini irrisolte. Il suo manoscritto del «Segreto di Angela» che lei gli aveva affidato non si trova più; il romanzo è una bomba a orologeria che le rovinerebbe la vita se solo finisse nelle mani sbagliate. Il manoscritto invece - il gioco del caso - finisce nelle mani giuste, e cioè quelle di un editore che, entusiasta, non perde tempo e offre alla Mattioli un contratto e la promessa di farla ricca e famosa, affidandola a un editor perché le dia una mano a sistemare lingua e plot. Parallela alla vicenda del manoscritto, corre l’indagine che Consonni conduce per conto di Luisa Kakoiannis-Sforza, la danarosa e bella protagonista della vita mondana milanese che gli ha affidato un incarico professionale non di poco conto. La figlia Marilou, viziata e scapestrata come si addice a una vera vip, da alcuni giorni è irreperibile e ha inviato alla madre una strana fotografia nella quale si intravede un graffito su un muro. A chi chiedere aiuto per avere lumi in tema di celebrità se non alla signorina Mattei-Ferri, vera enciclopedia del pettegolezzo? In un crescendo rocambolesco in cui non vengono risparmiati colpi di scena, Porsche fiammanti, ragazze morte, paparazzi, ville a Lugano, i personaggi vanno e vengono dalla casa di ringhiera come attori tra le quinte di un teatro. Nessuno manca all’appello: c’è Giulia, la figlia della Mattioli che sospetta della salute mentale della madre, c’è Claudio che si è rifugiato nella casa di Consonni devastandone l’ordine e le riserve alcoliche, c’è l’operaio Antonio che si è messo sulla retta via ma incrocia ancora i vecchi ostacoli, c’è Luis De Angelis che ha perso la testa non per la BMW 24 valvole ma per la matura Carmela della trattoria «La bella Trapani», c’è pure Enrico che viola il divieto della madre di vedere il nonno e sfugge al controllo della nuova babysitter. Una commedia dell’arte effervescente, condotta con euforico senso dell’umorismo.isponibile.
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