Tra i mistici contemporanei Osho è stato il più dirompente e colui che ha centrato appieno il problema della nostra società smarrita e sola. Ce lo racconta in “Con te e senza di te. Una nuova visione delle relazioni umane”.
Ci sono libri che mi lasciano perplessa a prescindere. Sono quelli in cui gli autori si “arrogano” il diritto non solo di saperla più lunga di noi “essere umani”, ma di avere la soluzione a tutti i mali. Così, presa più da voiyerismo che altro, mi ritrovo sempre a leggerli. Di questa schiera faceva parte anche il libro di cui vi parlo oggi, ovvero “Con te e senza di te” di Osho. Faceva, perché ora non ne sono più così convinta.
Vi avevo promesso una settimana in cui vi avrei parlato dell’amore e dei suoi demoni, mettendomi sulla strada perigliosa della ricerca del Vero Amore. E nel podcast di lunedì, vi avevo anche parlato di un manuale dell’amore contemporaneo, rivolto proprio al nostro solitario mondo occidentale. Ed eccomi con un libro che fa al caso nostro e ce lo dice anche il sottotitolo in frontespizio:”Una nuova visione delle relazioni umane.”
Non è solo il suo essere un mistico indiano che rende Osho lungimirante, ma l’appartenere ad una cultura molto diversa dalla nostra occidentale e il comprenderne molto bene i suoi limiti e suoi difetti. Forte di ciò, Osho teorizza delle “vie di salvezza” che spesso sono salvezze da noi stessi e dalle nostre mire autolesioniste, dalle nostre paure e ansie e dalla nostra solitudine.
E il pericolo è che la via sbagliata è sempre più facile: da qui la paura. La via sbagliata è una strada in discesa, quella giusta è una strada in salita. Andare in salita è difficile, faticoso, e più arrivi in alto più diventa arduo. Ma andare in discesa è facilissimo. Non devi fare nulla, la gravità provvede a tutto.
Ora, per spiegare meglio questo libro, ricorrerò ad una metafora che lo stesso Osho usa. Immaginiamo un fiume che scorre. Scorre continuamente e porta con sé molti detriti, foglie, rami, alberi che incontra nel suo scorrere. Nulla può fermare questo movimento, questo andare. Gli oggetti si lasciano trasportare senza pensare dove li porterà la loro corsa e, soprattutto, quando si fermerà. Gli oggetti hanno fiducia nel fiume perché sanno che, qualsiasi sia il loro destino, è il fiume a decidere. Gli oggetti sanno che non devono preoccuparsi di altro se non di conoscere e sapere cosa essi stessi sono. L’albero sa di essere albero. Il ramo sa di essere ramo. La foglia ama il suo essere foglia.
Ama te stesso e osserva: oggi, domani, sempre.
A questo punto immaginiamo che il fiume sia la nostra esistenza, il nostro vivere quotidiano e le nostre emozioni e che gli oggetti trasportati dalla corrente siamo noi: io foglia, tu ramo, lui albero. Ci osserviamo l’uno con l’altro, e la foglia ama parlare con il suo ramo, così come il ramo ama stare accanto al proprio albero. Ma, comunque si mettano le cose: io so di essere foglia, tu sai di essere ramo e lui sa di essere albero.
Il riconoscimento dell’altro è accidentale, non è essenziale all’amore; l’amore continuerà a fluire. Anche se nessuno lo assapora, nessuno lo riconosce, se nessuno si sente felice […] l’amore continua a fluire, perché nel fluire stesso c’è gioia…
Fin qui tutto chiaro. Se noi sappiamo cosa siamo in questo mondo, il nostro posto e la nostra essenza, se siamo sicuri di ciò che desideriamo (o, meglio, sappiamo di non saperlo!) tutto andrà per il vero giusto.
L’amore è “gioia straripante”, dice Osho, ma allora perchè, spesso, ne siamo vittime, ne soffriamo, ne diventiamo prigionieri e infelici? La risposta a questo quesito non dobbiamo cercarla nella natura dell’amore, nell’altra parte di questa corrispondenza di amorosi sensi. Se la cerchiamo negli occhi dell’altro, non ne usciremo vivi e continueremo a rimanere soli, senza saperne il perché. In effetti, Osho non dà una sola risposta, bensì offre molteplici spunti di riflessione che potrebbero aiutarci ad individuare la causa della nostra sofferenza. Le costrizioni, i divieti, il non sapere accettare i propri limiti e via discorrendo. Tutte cose da “psicologia spiccia”, come mi piace chiamarla. In questo elenco, però, c’è una risposta che vale più di altre: il perché della nostra infelicità e della nostra incapacità di vivere l’amore è da ritrovare in noi stessi e nella qualità dei rapporti umani che siamo in grado di costruire. Perché troppo spesso siamo portati a vivere il rapporto come una dipendenza, più che una condivisione, come un momento nella nostra vita in cui abdichiamo ad ogni capacità critica e ci rimettiamo nelle mani dell’altro, un momento in cui dobbiamo dare e avere, in un continuo scambio.
L’amore non è ciò che si intende di solito. L’amore comune non è che una finzione, dietro di esso si nasconde dell’altro. L’amore autentico è un fenomeno totalmente diverso: non è un pretendere, bensì un condividere: non conosce il chiedere, ma la gioia del dare.
Non dico nulla di nuovo affermando che la nostra società ci ha insegnato ad amare e desiderare ciò che è al di fuori di noi stessi. Noi non ci bastiamo più, ma bramiamo sempre altro, anche quando abbiamo tutto. Bramiamo, in realtà, qualcosa che neppure sappiamo cosa essere e viviamo, così con un costante senso di ricerca e di “non appartenenza”, di insoddisfazione perenne. E questo avviene perché cerchiamo fuori le risposte che, invece, dovremmo trovare dentro di noi. La foglia, il ramo e l’albero della metafora di qualche riga sopra, erano tranquille pur nello scorrere impetuoso e senza meta del fiume e lo erano perchè ciascuno di loro sapeva esattamente cosa era. Se sei forte dell’amore che provi per te stesso, ci dice Osho, se arriverai a conoscerti completamente e profondamente allora l’amore non sarà più una catena o un mistero. Se sai chi sei e cosa stai facendo (o non vuoi fare), allora sarai forte per essere te stesso anche senza la persona amata. Dire “io senza di te sono nulla” è come buttarsi la zappa sui piedi. Dovremmo dire tutti frasi del tipo ” Io con te sto bene, ma senza di te starei bene lo stesso.”
Lasciate che vi sia spazio nella vostra unione. State insieme, ma non cercate di dominarvi, non cercate di possedervi e non distruggete l’individualità dell’altro.
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