In questa puntata a cura de Gli Incubi del Bonet scopriamo il lato più oscuro di Arthur Conan Doyle con i suoi Appunti dall’ignoto.
Conosciuto dai più, per non dire da chiunque, come il padre di Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle occupa un posto d’onore nel Pantheon dei più grandi scrittori di sempre. Quella che voglio offrirvi però, è la presentazione del lato oscuro di questo gigante della letteratura.
Arthur Conan Doyle era letteralmente ossessionato dall’occulto.
Questo aspetto, ci fornisce una visione alternativa contrastando con la percezione che abbiamo di lui, un medico, un uomo di scienza, un forte sostenitore di ciò che è dimostrabile, di ciò che è scientifico e di
conseguenza, concreto, logico e pragmatico.
Oltre a Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle diede prova delle sue capacità narrative in ambito di letteratura fantastica e SF, con “Il Mondo perduto”.
Ma è l’ultima delle sue opere che svela a pieno la sua natura inquieta e bramosa dell’occulto e del paranormale, ossia Appunti dall’Ignoto.
In quest’opera, Arthur Conan Doyle raccoglie e documenta esperienze vissute e riferite, casi di cronaca risolti con l’aiuto di medium e operatori dell’occulto, nella costante ricerca di dare risposte scientifiche e razionali a ciò che scientifico e razionale non è.
Non stiamo parlando di una vocazione allo spiritismo o di una infatuazione per il paranormale. Arthur Conan Doyle voleva fare un’altra cosa e cioè fornire una spiegazione scientifica.
Creare un ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Dimostrare che esiste un legame, una soglia che si può varcare, attraverso studi razionali e analitici.
E allora troviamo citazioni come; “Nessun fantasma è mai stato autosufficiente. Può esistere senza il nostro aiuto, ma non può manifestarsi ad occhio umano senza attingere la propria materialità da fonti umane”.
E ancora “sopravvivenza dopo la dissoluzione del corpo e del cervello”.
Negli Appunti dall’ignoto, Arthur Conan Doyle non descrive l’attività dei medium come una pratica esoterica, sdoganandola dalla convinzione popolare radicata che la vede come qualcosa di stregonesco o malevolo, ma la propone come una “scienza psichica”. Più volte, nelle sue cronache, ricorre al termine “Nuova Scienza”.
In quest’opera, sono descritte esperienze e testimonianze di persone realmente esistite, tra i quali quella di William Jackson Crawford, l’ingegnere degli spiriti, la cui storia è romanzata nell’opera, la meccanica degli spiriti, che ne racconta gli inizi, la frustrazione, l’ascesa il successo e l’epilogo tragico.
“Convincere gli scettici dell’immortalità dell’anima”.
Ectoplasmi, poltergeist, infestazioni, esorcismi; tutto è analizzabile e per tutto può esistere una spiegazione logica, dimostrabile secondo la “Nuova Scienza” di Arthur Conan Doyle.
Molte delle domande che compaiono in quest’opera, ancora oggi non trovano risposta. Tuttavia, leggendo l’ultima fatica letteraria di Arthur Conan Doyle, non possiamo che rimanere rapiti, dalla sua capacità di ragionamento, dalla sua dedizione nella ricerca di spiegazioni razionali e dalla sua volontà di unire il mondo dei vivi e quello dei morti, preservando e mantenendo l’integrità e l’immortalità dell’anima.
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